Un anno fa, il presidente del M5s diceva che un numero enorme di famiglie “non riesce a pagare le rate”. Ma i dati ora dicono che il tasso di default su mutui è 0,5%, il minimo storico. L’allarmismo come metodo d’opposizione non funziona
A marzo del 2024, durante il dibattito alla Camera sulle comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo, Giuseppe Conte lanciò un grido di dolore: “Ma lei lo sa che ci sono due milioni di famiglie che stanno perdendo casa, per la vendita all’asta, perché non riescono a pagare il mutuo?! Sono nostri concittadini! E nello stesso tempo avete permesso alle banche di poter distribuire 28 miliardi di utili proprio per quei mutui. Come fa a dormire la notte?!”.
Il leader del M5s ce l’aveva con la presidente del Consiglio, colpevole di non aver aumentato la tassazione sulle banche mentre le famiglie italiane, a detta sua, stavano perdendo la casa. Conte parlò a lungo della catastrofe sociale che si stava per abbattere sul paese in vari interventi in Parlamento, in televisione e sui social network. Cosa ne è, a distanza di oltre un anno, di quell’allarme?
La risposta arriva da Crif, società specializzata nell’analisi di informazioni creditizie. “La rischiosità dei mutui è ai minimi storici: il tasso di default dei mutui a marzo 2025 si è attestato allo 0,5%”. La definizione del tasso di default è “90 past due”, ovvero la percentuale di crediti almeno tre rate (90 giorni) scadute in un anno rispetto al totale. “Ci aspettiamo una stabilizzazione della qualità del credito – commenta Simone Capecchi, executive director di Crif – con tassi di default che resteranno su livelli molto bassi, ben inferiori a quelli delle precedenti crisi”. Solo per fare un confronto, il tasso di default durante i due governi guidati da Conte tra il 2018 e il 2021 è stato tra 1% e 1,5%: dal doppio al triplo.
Secondo il Barometro Crif, nei primi sei mesi del 2025 le richieste di mutui immobiliari da parte delle famiglie sono cresciuti del 20% rispetto allo stesso periodo del 2024, soprattutto per la crescita delle surroghe (+63,2%), favorite dalla riduzione dei tassi e dalla scelta delle famiglie di passare ai mutui a tasso fisso. Sebbene il costo finanziario dei mutui si mantiene superiore alla media pre-Covid, la morosità si mantiene al minimo storico.
L’incremento della richiesta di mutui è un trend che prosegue da un anno. Secondo i dati della Banca d’Italia, nel 2024 le nuove erogazioni sono salite nel 2024 a 44 miliardi di euro, da 41 miliardi nel 2023. Per difendersi dall’incertezza dopo l’aumento dei tassi negli anni precedenti, nel 2024 i nuovi mutui a tasso fisso hanno superato il 90% del totale (record storico) e rappresentano circa i tre quarti dei mutui in essere.
Se l’incremento della domanda di mutui è il prodotto della politica monetaria della Bce, che ha tagliato i tassi, non è lo stesso per la morosità. Nel senso che anche l’anno scorso, quando Conte lanciava l’allarme, il tasso di default era allo stesso livello attuale: 0,5%. Minimo storico. Insomma, non c’era bisogno di attendere un anno per scoprire che quella denuncia si sarebbe rivelata infondata. Era falsa già allora.
Ma Conte da dove aveva tirato fuori quel numero? Era l’articolo di un giornale che riportava, con grande risalto, i risultati di un sondaggio in cui gli interpellati esprimevano la loro difficoltà a pagare le rate del mutuo. Ma si trattava, allora come ora, di numeri incompatibili con la realtà. In Italia, su 25,7 milioni di famiglie, sono circa 3,5 milioni quelle con un mutuo immobiliare in essere. Si comprende immediatamente che è impossibile che, di queste, 2 milioni (circa il 60%) non riuscissero a pagare il mutuo.
Se Conte ci avesse riflettuto su un pochino, si sarebbe reso conto che questo scenario era in contraddizione con l’altra metà della narrazione: le banche che distribuivano decine di miliardi di dividendi e il governo che evitava di tassare gli extraprofitti. Perché, se davvero il 60% delle famiglie avesse smesso di pagare le rate, le banche – esposte per oltre 420 miliardi di euro sui mutui per le abitazioni – non solo non avrebbero macinato tutti questi profitti ma sarebbero fallite a loro volta. La crisi delle famiglie sarebbe diventata un’enorme crisi bancaria e all’asta sarebbero andate sia le case che gli sportelli bancari. E invece le banche sono molto solide. Secondo i dati dell’Abi, il 2024 si è chiuso con circa 30 miliardi di crediti deteriorati (l’1,5% dei prestiti totali). Un livello nettamente più basso rispetto a pochi anni fa, quando superavano abbondantemente i 100 miliardi di euro.
Al di là della questione specifica, non si tratta della prima volta che viene annunciata un’imminente catastrofe sociale per qualche misura presa (o non presa) da parte del governo. Era accaduto, già alla fine del 2023, con l’abolizione del Reddito di cittadinanza (Rdc), sostituito dall’Assegno d’inclusione (Adi) che ha criteri molto più restrittivi: si immaginava un forte deterioramento delle condizioni di vita delle famiglie e si prefiguravano proteste di piazza e mobilitazioni di massa. I dati dell’Istat indicano che nel 2024 il rischio di povertà è rimasto invariato rispetto al 2023 e di manifestazioni in difesa del Rdc praticamente non c’è stata traccia.
Qualcosa di analogo è successo con il Superbonus: da un lato l’opposizione ha cavalcato la protesta degli “esodati”, dall’altro paventava un forte incremento della disoccupazione soprattutto nel settore dell’edilizia per la fine del generoso stimolo. Non è andata così: il tasso di occupazione è al massimo storico e la disoccupazione si mantiene a livelli molto bassi per l’Italia (attorno al 6%). Lo stesso fallimentare referendum sul lavoro, promosso dalla Cgil, si fondava su premesse infondate come l’esplosione della precarietà.
Descrivere l’Italia degli ultimi anni come un paese in cui aumentano povertà, precarietà, e milioni di famiglie perdono la casa all’asta non corrisponde alla realtà. Ma questo in politica non conta molto. Ciò che non è chiaro all’opposizione, e in politica dovrebbe contare, è che questa strategia narrativa non sta togliendo un voto a Giorgia Meloni.