Il miglior gregario delle prime due settimane del Tour de France ha vinto la quindicesima tappa, una frazione piena zeppa di illusioni e sogni andati a male
Sarà la paura dei dazi, sarà l’inflazione, saranno le guerre e il timore che aumentino, saranno queste cose oppure chissà cosa altro, ma ormai le fughe al Tour de France 2025 si formano a rate. E sempre per sottrazione, anzi estinzione, di forze e pazienza.
Oggi i corridori della Grande Boucle non si sono nemmeno divisi in inseguiti e inseguitori, si è disgregato, disperso in microparti. E ben prima della solita dissoluzione nel finale quando ogni causa comune perde di senso e ognuno pensa soltanto alla causa propria. Verso Carcassonne è andato in scena un carnevale ciclistico, prima è arrivata la dissoluzione, la dispersione in unità, poi il ricompattamento. In gruppetti e poi in un gruppone.
Un martedì grasso, un festival che ha visto sfilare verso l’arrivo uno dei migliori gregari che pedalano per le strade di Francia a questa Grande Boucle. Tim Wellens ha avuto una giornata di libertà dall’ombra di Tadej Pogacar e non ha trovato nient’altro di meglio che farsi quarantasei chilometri in solitaria verso l’arrivo. Tim Wellens ha vinto la quindicesima tappa del Tour de France 2025, risolvendo così il grande problema della giornata odierna. Ossia: rimanere da soli era l’unico modo per risolvere una questione impossibile da risolvere: come fare ad arrivare all’arrivo visto che tutti cercano di fare i furbi e dietro c’è gente che rincorre? Warren Barguil, Victor Campenaerts, Alexey Lutsenko, Carlos Rodriguez, Quinn Simmons, Michael Storer, Aleksandr Vlasov, Tim Wellens sapevano che c’era una sola risposta a questa domandona. Ed era: rimanere da soli. Perché da soli si fa una faticaccia, ma quanto meno si è sicuri che nessuno faccia il furbo e ti freghi.
Ci hanno provato tutti, sembrava esserci riuscito Michael Storer, poi sembrava esserci riuscito Victor Campenaerts. Tutti abbagli. Va così nell’Aude. È zona di grandi sogni, grandissime illusioni e orribili risvegli.
È dall’avanticristo che ciclicamente succede. I Volci erano riusciti a resistere all’esercito romano, erano riusciti pure a ricacciarli al di là dell’Aude. Festeggiarono per la resistenza, il giorno dopo vennero spazzati via. Nel 280 dopo Cristo, Carcassonne (all’epoca Julia Carcaso) conquistò l’indipendenza dall’impero romano instaurando un regime di democratica anarchia. L’esperimento funzionò un paio d’anni, poi arrivarono i Burgundi e spaccarono tutto. Nel 1348 fu la peste invece a rendere vano il tentativo di collettivizzazione dell’agricoltura e della pastorizia, un tentativo socialista ante litteram. E negli anni Dieci, arrivò la prima guerra mondiale a interrompere la grande trasformazione collettivista nell’enologia.
Figurarsi se al ciclismo poteva andare meglio.
In tanti si sono illusi di poter fare il numero, di vincere. L’ultimo è stato Julian Alaphilippe. Nello sprint di gruppetto è riuscito a battere Wout van Aert e ha esultato, perché battere Wout van Aert non è cosa banale, figurarsi farlo al termine di una tappa nella quale si è caduti e si è arrivati all’arrivo con una spalla che fa un male cane. Peccato che Tim Wellens fosse passato già da minuti e che pure Victor Campenaerts era già sceso di bicicletta dopo l’arrivo.