Il Corporate Resource for Europe è un nuovo balzello (definito contributo forfettario) che dovrebbe applicarsi sulle società Ue da oltre 100 milioni di fatturato, e punta a generare 6,8 miliardi annuali. Ma tra scaglioni ed effetti discriminatori, lascia un po’ basiti
Fra i molti documenti che accompagnano la proposta della Commissione europea sul nuovo bilancio pluriennale ce ne è uno che salta all’occhio e che riguarda gli strumenti per garantire all’Ue risorse proprie con cui finanziare le svariate iniziative. Fra questi non può suscitare una certa sorpresa quello che prevede una nuova imposta sulle imprese denominata “Core”, ovvero Corporate Resource for Europe. Il nuovo balzello, definito contributo forfettario, consisterebbe in una imposta parametrata al fatturato applicabile alle società Ue (per esempio residenti fiscalmente in Ue ovvero in un paese extra Ue ma con una stabile organizzazione nell’Unione). L’imposta dovrebbe generare 6,8 miliardi annuali e si sommerebbe alle imposte che normalmente le società già pagano nei paesi europei. Tutte le società non residenti e senza stabile organizzazione nell’Ue – anche se fatturano verso operatori/clienti Ue – dovrebbero invece restare escluse dall’ambito applicativo della nuova imposta. Il Core dovrebbe operare come contributo forfettario a scaglioni per tutte quelle aziende europee che hanno un fatturato netto superiore ai 100 milioni di euro, con importi crescenti da un minimo di 100 mila euro/anno a un massimo di 750 mila euro/anno per imprese con fatturato superiore ai 750 milioni di euro.
Questa proposta lascia piuttosto basiti. In primis si configura come una imposta assai discriminatoria in quanto gli scaglioni di tassazione lump sum sembrano doversi applicare su base individuale e non sul bilancio consolidato. Si determinerebbe quindi un effetto bizzarro tale per cui un gruppo con tre società sotto i 100 milioni di euro non pagherebbe nulla, mentre un gruppo con tre società a 101 milioni di fatturato l’una, pagherebbe tre volte la gabella fissa di euro 100 mila (300 mila in totale). Se poi le società venissero accorpate in una sola con un fatturato complessivo di 303 milioni il balzello scenderebbe a 250 mila euro.
Per di più l’imposta si duplica per tutti i rapporti intracomunitari e non per quelli Ue-estero. Ad esempio, se una impresa italiana vende a una francese che vende a clienti francesi, il balzello lo si pagherebbe due volte tanto sul fatturato in Italia quanto su quello in Francia . Se invece l’impresa francese compra da una impresa americana, il balzello verrebbe pagato una volta sola (sul fatturato francese) rendendo paradossalmente più costoso il commercio intra Ue. Il meccanismo forfettario ha un ulteriore effetto discriminatorio. Esso fa si che per un settore a bassissima marginalità il balzello inciderebbe tantissimo sui suoi utili, al contrario di quanto accadrebbe per un settore ad alta marginalità.
Ma questo balzello solleva non pochi interrogativi sulla capacità della Commissione di costruire un disegno minimamente strategico di risposta all’aggressione dei dazi americani. Nel momento in cui gli Stati Uniti usano dazi molti aggressivi e i lauti incentivi fiscali dell’Ira (Inflation Reduction Act) per promuovere una politica di rimpatrio di attività produttive in America, l’Europa pensa di rispondere con nuove tasse sulle imprese europee? Si pensa davvero di poter alzare ancora le tasse sulle nostre imprese quando le istituzioni europee – e l’Eurogruppo in particolare – ancora consentono a molte multinazionali americane che hanno holding in paesi come Olanda, Irlanda o Lussemburgo di rimpatriare da queste giurisdizioni i cospicui profitti maturati sulle loro attività europee chiudendo gli occhi sui regimi di tassazione zero applicata su dividendi, royalties e interessi negoziati fra queste giurisdizioni e gli Stati Uniti? E ancora, si pensa davvero di inserire nuove tasse sulle nostre imprese quando gli Stati Uniti si sono appena ritirati dall’accordo sulla Global Minimum Tax, non accettando alcun principio di equa tassazione a livello internazionale ma facendo valere le prerogative della loro Global Intangible Low-Taxed Income quale unico principio a cui sono assoggettate le società americane? E avendo appena raffreddato ogni ambizione a costruire una digital tax europea? Iniziavamo ad abituarci nuovamente a un Europa fortemente intergovernativa e poco coraggiosa sui dossier importanti visto l’immobilismo su unione bancaria, unione dei mercati dei capitali e rafforzamento del mercato unico, ma trovarsene una così poco strategica sul fronte del fisco fa un certo effetto.