La lista di paesi in cui Trump vuole deportare i migranti. C’è il Sud Sudan

Dal Ruanda al Costa Rica, passando per il Guatemala e ora anche due stati africani. Il tycoon sta creando una costellazione di 51 nazioni “alternative” dove inviare i “bad hombre” arrestati che non possono tornare nel loro paese di origine

Il presidente americano, Donald Trump, invece di accontentarsi di una sola nazione da usare come deposito per migranti indesiderati, è riuscito a contrattare con diversi paesi sparsi per il mondo. Con le sue tecniche di negoziazione da The Apprentice sta creando una costellazione di paesi dove inviare i “bad hombre” arrestati che non possono tornare nel loro paese di origine. “Se un paese non accetta i suoi cittadini”, ha detto la capa della sicurezza interna, Kristi Noem, “altre nazioni hanno accettato di accoglierli, e occuparsene finché il loro paese non li riprenderà”. L’amichevole Corte suprema ha acconsentito a continuare con la grande promessa elettorale: le deportazioni di massa. Il sogno dell’advisor Stephen Miller e dello stratega isolazionista Steve Bannon inizia ad avverarsi, nonostante ci siano alcuni giudici – “politicizzati” e della “sinistra radicale”, dice Trump – che provano a fermarlo, e nonostante le manifestazioni contro gli agenti anti immigrazione (Ice) che hanno messo a ferro e fuoco le autostrade di Los Angeles.

Col benestare della Corte suprema, secondo un promemoria dell’Ice gli agenti possono deportare in nazioni terze, con un minimo di sei ore di avviso, anche se le autorità non assicurano che i nuovi arrivati siano al sicuro da possibili torture o persecuzioni. Questa strategia è fondamentale, ha detto Noem, “per esser certi di mandare via i peggiori dei peggiori dal nostro paese”. 51 nazioni “alternative” sarebbero state approcciate dalla Casa Bianca. Di recente due paesi africani hanno accettato degli accordi: il Sud Sudan ed Eswatini. Il Sud Sudan esce da una lunga guerra civile e per il dipartimento di stato è considerato un paese in cui non si dovrebbe viaggiare per via di “conflitti armati, crimine e rapimenti”. L’Eswatini, ex Swaziland, è un minuscolo regno tra Mozambico e Sudafrica con meno di un milione e mezzo di abitanti. Martedì nel paese africano sono stati mandati cinque migranti, provenienti da Cuba, Yemen, Laos, Vietnam e Jamaica. Tricia McLaughlin, portavoce del dipartimento di sicurezza interna, che gestisce l’operazione, ha detto che si tratta di “individui così straordinariamente barbarici che le loro patrie hanno rifiutato di riprenderseli”. A maggio otto uomini, secondo il governo responsabili di crimini violenti, erano stati mandati in Sud Sudan. “Una vittoria per lo stato di diritto, e per la sicurezza degli americani”, ha commentato McLaughlin.

Le due nazioni africane si aggiungono a una lunga lista. Il Ruanda, in cambio di 100 mila dollari, si è preso un cittadino iracheno, promettendo di prendersene altri dieci (il paese era già stato usato in anni recenti come “terzo paese” da parte dei governi britannici e israeliani, con processi costosi e fallimentari). A fine febbraio 200 persone sono state mandate in Costa Rica su due diversi voli statunitensi, compresi 81 minori e due donne incinte; l’accordo è far diventare il Costa Rica un hub temporaneo prima del rimpatrio. Stessi accordi sarebbero stati presi con il Guatemala, che dovrebbe diventare un pit stop del processo di deportazione. Negli ultimi mesi poi il Messico ha accettato circa 6 mila non messicani provenienti dagli Stati Uniti, decisione presa dalla presidente Claudia Sheinbaum per “motivi umanitari”. Centinaia di individui del Nepal, dell’India, della Cina e dello Sri Lanka sono invece stati inviati a Panama. E poi c’è El Salvador, guidato dal “dittatore cool” e millennial Nayib Bukele, dove nella gigantesca prigione per terroristi sono arrivati negli ultimi mesi centinaia di venezuelani arrestati negli Stati Uniti, accusati di essere parte di gang criminali. E’ stato provato che almeno il 75 per cento di questi venezuelani non aveva alcun precedente penale, e che alcuni erano stati arrestati solo per via di vistosi tatuaggi, o per essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

E’ fallito invece un accordo tra Trump e la Libia. Il risiko delle deportazioni trumpiane non si ferma a Centro America e Africa. Il governo del Kosovo, paese dei Balcani a riconoscimento limitato e senza sbocchi sul mare, avrebbe accettato di ricevere 50 deportati di nazioni terze, prima di essere poi rimandati nel loro paese di origine. Il Kosovo avrebbe accettato nella speranza che l’Amministrazione Trump convinca altri paesi a riconoscere la sua indipendenza. Il trumpiano Tom Homan, zar del confine, funzionario delle questioni migratorie, ha detto che questi accordi sono fondamentali per procedere con il “piano di deportazione di massa”. Homan ha detto che “un paese dove mandarli si troverà”, perché “una cosa è certa, se sono una minaccia per gli Stati Uniti, non cammineranno sulle nostre strade”.

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