Il professore emerito di Procedura penale all’Università di Milano: “La normativa non viene applicata e non ci sono sanzioni. E Benevieri, avvocato penalista ed esperto di linguistica giudiziaria, aggiunge: “Dall’ordinanza milanese emerge un lessico giudicante, che tende verso il giudizio morale”
Aggettivi, esondazioni linguistiche, valutazioni di carattere etico. “Alcuni termini utilizzati dai pm sono in chiaro contrasto con il diritto europeo, che garantisce la presunzione di non colpevolezza”, dice al Foglio il giurista Ennio Amodio, professore emerito di Procedura penale. Si riferisce alle carte dell’inchiesta di Milano in cui i pm, nel descrivere gli indagati, ricorrono a termini come “avidità”, “spregiudicato faccendiere”, “incline alla corruzione”. E’ quello che Iacopo Benevieri, avvocato penalista ed esperto di linguistica giudiziaria, definisce “un lessico giudicante, che tende verso il giudizio morale”.
A colpire – al di là di quello che potrà essere l’esito del processo – è la scelta delle parole da parte della magistratura inquirente nell’indagine sull’edilizia milanese che ha coinvolto, tra gli altri, anche il sindaco Beppe Sala e l’architetto Stefano Boeri. Puntualmente stralci dell’ordinanza sono finiti ieri sui quotidiani. “E’ un modo di fare che non nasce certo oggi. Risale ai tempi di Mani Pulite”, non si sorprende il professore Amodio, autore di “Estetica della giustizia penale. Prassi, media, fiction”. In alcuni passaggi dell’ordinanza si ricorre ad aggettivi che non dovrebbero essere propri di un pm. Uno degli indagati per esempio, l’architetto Giuseppe Marinoni, già presidente della Commissione paesaggio di Milano, viene definito “uno spregiudicato faccendiere, incline alla corruzione, che gode di relazioni privilegiate negli uffici politici e dell’amministrazione”. Uno che “accetta denaro senza curarsi della provenienza, da parte di chiunque lo voglia corrompere ed è lui stesso a cercarne le occasioni con avidità”. O ancora, in un altro passaggio, secondo i pm, avrebbe lavorato “a scapito della concorrenza e a favore di gruppi di oligarchi”, bypassando organi comunali e codice degli appalti.
“Siamo in un’area semantica che tende verso la polarizzazione di un giudizio morale”, dice l’avvocato Benevieri – autore di vari saggi che analizzano la linguistica giudiziaria. Fa notare come nell’ordinanza si faccia ricorso a “verbi assertivi” (accetta, gode, non si cura). “Ma il linguaggio della magistratura deve essere necessariamente improntato al dubbio, coniugato al congiuntivo e al condizionale. Solo la sentenza dovrebbe usare l’indicativo, in quanto esito di un accertamento”. Ma non si tratta solo dei tempi verbali. Nella sua spiegazione Benevieri si sofferma quindi sulla parola avidità. “Questa è una scelta straordinariamente preoccupante. Nella cultura italiana, storicamente e semanticamente, l’avidità è associata alla cupidigia, un vizio di carattere unicamente morale”. Ma molto allarmante, secondo Benevieri, è anche la definizione “faccendiere”. Come mai? “Perché se ci pensiamo bene è una parola che richiama il mediatore d’affari, l’intermediario informale che non ha cariche ufficiali ma agisce in modo shakespeariano nell’ombra di un potere. E non dimentichiamoci che aveva un’enorme ricorrenza nelle pagine dei giornali quando si parlava degli scandali della Prima Repubblica. Per molti italiani il faccendiere è Licio Gelli. Ma giuridicamente è una parola vaga, che non vuol dire nulla. Ha soltanto una valenza negativa”.
Infine Benevieri si sofferma su “incline alla corruzione”, sottolineando come in questo caso i pm – in maniera volontaria oppure no – finiscano comunque per “evidenziare un attributo di carattere psicologico e morale e nient’affatto giuridico. Come se l’indagato avesse una specie di inclinazione intima, personale alla corruzione”. Si tratta insomma di suggestioni che quasi per automatismo vengono riprese, e amplificate, da quotidiani e televisioni, in un processo che diventa tutto mediatico e schiacciato sulle tesi dell’accusa. “La catena è questa”, spiega Amodio, professore e avvocato penalista. “Il pm che conosce bene il processo stralcia le frasi a effetto. Queste finiscono nel materiale che viene esaminato dal gip che a sua volta, trovandole indicative di un reato, le recepisce. Così arrivano sui giornali e fanno colpo sull’opinione pubblica. E’ un meccanismo ben chiaro nella testa dei pm”. E spesso trova la complicità dei media, che finiscono per assumere quello che Amodio definisce il “linguaggio della colpevolezza”, il punto di vista dei magistrati. “E invece – dice infine Amodio – c’è una direttiva europea che garantisce la presunzione d’innocenza anche nel caso in cui venga applicato un provvedimento restrittivo. Ma siccome è una norma estranea ai nostri inquirenti viene spesso dimenticata e non c’è nessuna reazione dal punto di vista sanzionatorio”.