I salari scendono ma i consensi del governo no. Come si spiega?

Guardare le retribuzioni lorde non basta: i salari netti sono cresciuti molto di più e il reddito delle famiglie è aumentato più dell’inflazione, anche grazie alla dinamica occupazionale. I dati di Inps e Banca d’Italia fotografano una realtà che l’opposizione non vede

La scorsa settimana hanno suscitato scalpore i dati dell’Ocse sugli stipendi: in Italia sono inferiori del 7,5% rispetto al 2021. Il dato peggiore tra i paesi dell’Ocse, tra i quali invece le retribuzioni hanno in gran parte recuperato la fiammata inflattiva. Ma com’è possibile, con questi numeri, che Giorgia Meloni dopo quasi tre anni di governo abbia ancora consensi così elevati?

Una spiegazione la dà il Rapporto annuale dell’Inps presentato ieri. Non c’è una differenza con i dati dell’Ocse, anzi, estendendo il periodo al 2019, la perdita di potere d’acquisto è superiore: dal 2019 al 2024 le retribuzioni sono aumentate dell’8,3% mentre i prezzi del 17,4%. Totale -9,1%. Ma le persone non vivono di stipendi lordi, bensì netti.

E così l’Inps ha analizzato l’andamento delle retribuzioni nette, ovvero tenendo conto dei provvedimenti fiscali adottati dal governo (principalmente la decontribuzione e il taglio dell’Irpef). Il risultato dell’analisi è che le retribuzioni nette sono aumentate molto di più di quelle lorde. Il primo decile della distribuzione (ovvero i più poveri) ha registrato un incremento della retribuzione netta del 14,5% (a fonte di +7,1% lorda), l’incremento sale per la retribuzione mediana al +16,9% (a fronte di +7,4% lorda) e scende per l’ultimo decile al +12% (a fronte di +11,2% lorda). Ciò vuol dire che la politica fiscale del governo ha più che raddoppiato la crescita dei salari, almeno per quelli medio-bassi, arrivando nel caso della retribuzione mediana (33 mila euro) quasi a pareggiare l’inflazione (+16,9% contro +17,4%).



Ma non finisce qui. Come le persone non vivono di stipendi lordi bensì netti, così molto spesso non vivono da singoli bensì in un nucleo familiare. Sempre i dati dell’Inps indicano che nello stesso periodo il numero di assicurati (27 milioni) è aumentato di 1,5 milioni, soprattutto tra i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato. E che l’incremento è stato maggiore tra le donne rispetto agli uomini (+6,7% contro +5,3%), al sud più che al nord (+7,4% contro +5,3%) e in maniera notevole tra i giovani sotto i 34 anni (+11,2%). Questo implica che, sebbene i salari netti individuali si siano mantenuti qualche punto sotto l’inflazione o al massimo prossimi allo stesso livello, in molte famiglie il reddito complessivo è aumentato o perché il capofamiglia disoccupato ha trovato lavoro (caso più frequente nel Mezzogiorno), o perché si è aggiunto un secondo percettore di reddito (tipicamente una donna o un figlio).

Di conseguenza il reddito familiare, nonostante la stagnazione dei salari, è aumentato. Il riscontro arriva dalla Relazione annuale della Banca d’Italia, presentata qualche mese fa, che indica come negli ultimi anni il reddito disponibile delle famiglie italiane sia aumentato (+6,1% nel 2022, +5,0% nel 2023 e +2,7% nel 2024) con una dinamica migliore rispetto all’inflazione: dopo il -0,6% del 2022 e il ristagno del 2023, la crescita in termini reali è stata dell’1,3%. Il potere d’acquisto delle famiglie è leggermente aumentato.

Questo quadro, che è più completo della semplice dinamica salariale, spiega un’altrimenti incomprensibile tenuta dei consensi da parte del governo. E, inoltre, conduce a un paio di brevi considerazioni. La prima è che la politica fiscale di Meloni e Giorgetti, in un contesto di riduzione del deficit di bilancio, è stata redistributiva a favore dei redditi medio-bassi (i redditi medio-alti hanno pagato molte più tasse attraverso il fiscal drag).

La seconda è che non c’è molto altro spazio per sostenere i redditi attraverso il fisco. Questo non vuol dire che non esiste un enorme problema salariale, ma che non può essere risolta dalla politica di bilancio. È una questione che riguarda molto la contrattazione tra parti sociali, imprese e sindacati, e la politica nella misura in cui interviene per far crescere la produttività, che è l’unico fattore in grado di far aumentare i salari sul medio-lungo termine. Ma di questo ne parlano poco sia il governo sia le principali forze di opposizione.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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