La felicità che manca è quella che ci siamo immaginati, non sappiamo che faccia deve avere e nei negozi non si trova. Summertime sadness si chiama
Luglio dura cent’anni. S’avvicina la stagione delle partenze, ma come ogni anno arriva quando è troppo tardi. C’è ancora tempo per morire in città, soccombere alle videoriunioni. Che hai fatto in questi anni? Le videoriunioni. È il periodo in cui ricompare online la frase di Natalia Ginzburg in forma di cartolina Instagram, identica sorte sventurata di mezzo Pavese che viaggia ormai nelle stories coi frammenti di vita estiva scocciata. Questo rimane dei libri, frasi rapinate chissà dove che devono servire a fare le diagnosi collettive. Ma forse questo sono i libri, ora che ci penso non si tradisce nessuno. Ecco quindi la cartolina che va di moda in queste due settimane, dicevamo, Natalia Ginzburg: “Tutti partono e ci chiedono se anche noi partiremo. Impossibile rispondere, quando siamo nel numero di quelli che non hanno voglia né di partire né di restare”.
Ah, bellissima, sì sì, ma è appropriazione indebita. Qui noialtri si posta da un’altra epoca, il morbido duemila, l’epoca grassa, dove il problema è l’ansia generica, abbiamo l’assenza di felicità come massima preoccupazione. La felicità che manca è quella che ci siamo immaginati, non sappiamo manco bene che faccia deve avere e nei negozi normali non si trova. Non disponendo quindi di tristezze concrete e aderenti al pratico, ce ne inventiamo qualcuna per essere mesti all’occorrenza. In questo periodo il catalogo offre il malumore da vacanza. Summertime sadness, si chiama. È una cosa seria, lo ha scritto anche il Financial Times.
È quando le vite degli altri, quelli che vivono meglio, risultano impossibili da sopportare. È un sentimento contrario e simmetrico al sabato del villaggio, che è invece quel saporiello allegro, il senso di bello che ti prende quando il pacchetto (la vacanza) è ancora da scartare. Sarebbe il meglio della vita, l’attesa, o no? Insomma questa malattia esiste? Cos’è? Come si cura? Chi la fa passare, questa malinconia da vacanza? C’è un dottore in sala? Tra i minatori di sentimenti SuperProust, chi è imbattibile è Flaiano. Se siete uno di quegli spiriti molto delicati conoscete già questo dolorino stagionale insospettabile, in gran parte dovuto al guaio di avere la sensibilità sovradimensionata. “Viaggiare è come tenere i rubinetti aperti e vedere il tempo che va via, sprecato, liquido, intrattenibile”. Se hai quel tipo di problema, diagnosi e terapia sono nel Diario degli errori. Se proprio devi andare in vacanza e ti fa male al cuore, portati il lavoro appresso. “La noia e la malinconia aspettano dovunque si vada per divertimento, per cambiare. Turismo, triste invenzione. Non c’è salute fuori della propria grotta. Stare fermi; oppure muoversi per lavoro, lavorando”.
Il problema qui non è l’estate amara. Non è che non vogliamo partire, è che vorremmo essere già partiti a giugno. È che uno dovrebbe essere la versione migliore di sé per godersi la vacanza, e invece è la versione morta di sonno. È che ci sarebbe da vedere un mondo, là fuori, e girare città paesi e continenti, scalare le montagne, vedere gli animali dell’Africa, dormire nelle tende e sentire il ruggito dei leoni, e invece due settimane al lido da Sabino. È che ci sarebbe da riposarsi, mettere la testa in ghiaccio dopo un anno di lavoro come i pazzi, fare i bagni al mare, mare Mediterraneo senza le onde torbide che stanno appena lasci l’Italia. E invece quattro aerei perché i tuoi amici devono aprire la mente e viaggiare, vedere le montagne della Colombia, ma era necessario vedere le montagne della Colombia? A me sembrano tali e quali alle nostre.
È che l’estate sono giugno e luglio. A-gò-sto. Suona già di mese che sa di tappo. È che si vorrebbe essere frizzantini e sfiziosi di compagnia, invece saremo mosci, perché le forze migliori sono state spese per restare in piedi con un caldo da disastro atomico. È che era meglio a vent’anni, l’unico problema era l’abbronzatura e la discoteca. È che a vent’anni s’andava per saldi a scegliere il costume che ci stava meglio. È che non esiste un costume che ci stia decentemente. E’ che si viene e si va perché in qualche modo la vita deve passare. È malinconia ornamentale, niente di grave, tanto non esiste un posto dove ci si sente interi. Serve un poco di leggerezza assassina, per campare bene in estate. Facciamocela venire.