Dazi al 30% sui prodotti europei a partire da agosto. Colpiti i settori che contano. E l’Italia? Zitta. Non solo olio, pasta e salumi
Oggi l’Unione europea ha congelato le ritorsioni contro i dazi annunciati da Donald Trump, sperando in una trattativa dell’ultim’ora prima del temuto primo agosto. Ma è anche il giorno in cui sarebbe utile, finalmente, dirsi una verità: Trump conosce meglio della politica italiana la reale composizione del Made in Italy. E lo sta colpendo con precisione chirurgica. Mentre noi, nel dibattito pubblico, continuiamo a difendere solo il Parmigiano e a ignorare i macchinari.
I numeri pubblicati da Istat sul commercio con gli Stati Uniti nel 2024 parlano chiaro. L’Italia ha esportato beni per 64,8 miliardi di euro. Ma i settori trainanti non sono quelli che di solito usiamo nelle campagne promozionali. Al primo posto ci sono i macchinari industriali: 12,8 miliardi. Al secondo i prodotti farmaceutici: oltre 10 miliardi. Seguono automotive (7,9 miliardi), alimentari (7,7 miliardi), tessile (5,5 miliardi), metalli e chimica. L’agroalimentare, con buona pace di Coldiretti, arriva solo al quarto posto. E tutto ciò che rientra nel folklore – agricoltura, legno, minerali – vale briciole: insieme, meno dell’uno per cento.
Donald Trump ha capito esattamente dove colpire. Non solo vino e prosciutti. Ma anche e soprattutto macchinari, motori, componenti di precisione, materiali chimici. Quelle filiere che rendono l’Italia un pezzo indispensabile della manifattura globale. Quelle che non si vedono nei talk show, ma che fanno crescere l’export, generano occupazione qualificata, e alimentano l’innovazione.
E la politica italiana? Zitta. I partiti che alzano la voce contro i cibi sintetici non hanno detto una parola sui dazi che rischiano di colpire l’automotive piemontese, la meccanica lombarda, la chimica emiliana, la farmaceutica toscana. Nessuna campagna stampa, nessun pressing diplomatico, nessuna strategia condivisa con Berlino o Parigi. Al massimo qualche parola generica sulla “necessità del dialogo”. E se si alza la voce, è solo per difendere “l’identità alimentare”, non l’eccellenza industriale. Questo silenzio è pericoloso. Perché Trump non è solo una minaccia per l’Europa: è anche un test per l’Italia. Ci obbliga a chiederci: cosa vogliamo essere? Un paese che si racconta con i trattori in piazza e la mozzarella Dop? O un paese che difende la sua forza manifatturiera, la sua capacità di vendere al mondo ciò che altri non sanno fare?
I dati ci dicono che l’Italia è ancora una potenza industriale. Ma la politica finge di non saperlo. Forse perché l’industria non fa folklore. Forse perché il Made in Italy vero, quello che esporta turbine e principi attivi, non ha lobby rumorose né testimonial simpatici. E così lasciamo che l’America di Trump imposti la guerra commerciale sulle nostre reali debolezze, mentre noi continuiamo a difendere un’idea pittoresca del paese che non esiste più da decenni. Ma se non diciamo chi siamo, non sapremo mai cosa stiamo perdendo. E quando ci accorgeremo che l’Italia che contava – quella che costruiva macchine, curava malattie, progettava motori – è stata messa sotto dazi, sarà troppo tardi per spiegarlo.