Si combatte nel sud della Siria, dove Israele bombarda e le milizie locali prima arretrano e poi respingono le Forze di Damasco, colpevoli di nuovi abusi e violenze
Quando hanno cominciato a sparare a Suwayda, tre giorni fa, è stato per il furto di un camioncino usato per vendere frutta e verdura. Dopo un po’ si è passati dalle armi ai rapimenti di alcuni membri di clan rivali, drusi – che qui sono la maggioranza – contro beduini sunniti. Sono passate poche ore e in questa provincia del sud della Siria, non lontana dalle frontiere con Giordania e Israele, ci si è ritrovati a combattere per qualcosa di molto più grande. Da una parte si sono schierati gli uomini delle forze di sicurezza inviate dal presidente Ahmed al Sharaa per ristabilire l’ordine. E’ stato lui in persona a volere alzare la posta in gioco intervenendo massicciamente a Suwayda. Lo si è compreso quando, la notte di lunedì, ha inviato gli uomini di Liwa Talib, una specie di forze speciali, le stesse che mesi fa avevano ristabilito il controllo governativo – ma a che prezzo – lungo la costa occidentale del paese. Anche in quel quadrante, a Talkalakh, in ballo c’era l’unificazione del paese, da contemperare con il rispetto delle minoranze, in quel caso quella alawita. Se allora si finì con gli uomini di Sharaa che giustiziarono e seviziarono i residenti della minoranza alawita, stavolta, nel sud, gli abusi denunciati dai drusi sono simili.
Asserragliate a Suwayda, le milizie locali si sono battute per difendere la propria autonomia, che rivendicano sin dalla caduta del regime. Il sentimento della difesa strenua della propria terra, della propria identità religiosa – diffusa anche in Israele e nel Libano – è stato alimentato dal ricordo dei fatti del 1954, quando l’allora presidente Adib Shishakli schierò 10 mila uomini per riprendere il controllo di Suwayda. “I miei nemici sono come serpenti: la testa è il Jabal al Duruz, lo stomaco a Homs, la coda ad Aleppo. Se schiaccio la testa, il serpente morirà”, disse Shishakli per spiegare quanto sospetto si celasse dietro ai drusi. Il primo dei motivi era, e resta, la loro relazione con gli israeliani. Shishakli, e come lui Sharaa, riteneva che questa minoranza derivata dall’ismailismo sciita fosse manovrata dallo stato ebraico. Si finì con l’alimentare la teoria del complotto sopravvissuta fino a ora, un sospetto che il premier israeliano Benjamin Netanyahu alimenta quando rivendica il suo ruolo di difensore dei drusi in Siria e interviene militarmente per tenere alla larga le forze islamiste di Damasco. Martedì, i raid dello stato ebraico hanno colpito alcuni mezzi corazzati siriani, che nel frattempo erano riusciti a entrare a Suwayda. Subito, le forze governative hanno fatto rientrare i loro tank nella capitale, sottraendoli alle bombe israeliane.
Fino a ieri sembrava che un’intesa nemmeno troppo tacita, per quanto è trapelato in questi mesi, stesse prendendo forma nel sud della Siria: concedere a Sharaa di integrare Suwayda e le sue milizie nelle forze armate siriane in cambio di lasciare il sud del paese sgombro di artiglieria pesante. Che questa intesa fosse già in uno stato avanzato lo dimostra una foto scattata martedì a una riunione di sceicchi locali in compagnia di Ahmad al Dalati. Dalati è un nome ricorrente quando si parla della nuova Siria di Sharaa, perché è l’“inviato speciale” che il presidente manda laddove c’è da negoziare qualcosa di sensibile. Dapprima era stato inviato a Quneitra, ora a Suwayda e in entrambi i casi i suoi interlocutori sono gli israeliani. E’ insomma l’uomo che sta rompendo ogni tabù, trattando in prima persona con lo stato ebraico per conto di un governo islamista.
I raid dello stato ebraico dicono però che è ancora presto per capire se a Suwayda si possa arrivare alla stabilizzazione che invece auspicano gli americani. Ieri mattina sembrava che i militari di Sharaa avessero preso il controllo di gran parte della città dopo avere trovato l’accordo per un cessate il fuoco, mala situazione è tornata in bilico e alcune milizie druse, aiutate dai raid israeliani, hanno ripreso il controllo di molti quartieri di Suwayda.
Fra i leader locali cooptati da Damasco c’è Laith al Balous, che riscuote rispetto fra le file di Sharaa perché noto oppositore al regime nonché figlio di una delle vittime della repressione baathista. L’antitesi di al Balous è il leader spirituale druso, Hikmat al Hijri, vicino a Israele e oppositore del governo islamista, sostenuto da ex assadisti che hanno poco da perdere e non vogliono deporre le armi. “Siamo sterminati da gruppi fuorilegge”, ha denunciato oggi al Hijri. I filmati diffusi mostrano un accanimento crudele degli uomini di Sharaa. Ad alcuni prigionieri sono stati tagliati i baffi per umiliarli e oltraggiarli, i corpi dei caduti venivano calpestati. Per strada alcuni residenti inneggiavano allo stato ebraico, chiedendogli di difenderli mentre decine di drusi hanno tentato di fuggire in Israele sconfinando nel Golan occupato. “Chiedere aiuto ai nemici israeliani è un crimine, un affronto al popolo siriano”, ha avvisato il portavoce del ministero dell’Interno di Damasco.
Le sacche di resistenza legate ad al Hijri continuano a combattere a sud di Suwayda, si parla di centinaia di morti mentre gli aerei israeliani colpiscono al suolo le forze siriane. Se mai si dovesse raggiungere un accordo, ci si chiede fino a che punto possa tenere e se mai possa diventare il segnale di un paese davvero unificato e pacificato.