In America il sostegno all’Ucraina è bipartisan, checché ne dicano i chiassosi trumpiani ostili alla difesa degli ucraini. Il presidente americano vuole avere massima flessibilità sui dazi alla Russia, ma per farci cosa?
I senatori Lindsey Graham e Richard Blumenthal sono convinti che la loro legge sulle sanzioni alla Russia sia “la mazza” di cui Donald Trump ha bisogno per porre fine alla guerra della Russia all’Ucraina, ma il presidente americano continua a non volerla brandire, non con la forza necessaria, almeno. Graham e Blumenthal, un repubblicano della Carolina del sud e un democratico del Connecticut, hanno presentato questo disegno di legge ad aprile e hanno il consenso di 85 senatori, una maggioranza di oltre i due terzi che è straordinaria se si pensa alla frattura profonda che c’è nelle istituzioni americane, ma che conferma il fatto che il sostegno all’Ucraina è bipartisan, checché ne dicano i chiassosi trumpiani ostili alla difesa degli ucraini. Con questa maggioranza, il veto presidenziale non sarebbe stato un problema, ma poiché nessuno osa mettersi di traverso a Trump, anche i due senatori hanno aspettato un segnale dalla Casa Bianca, che è arrivato come sempre ambiguo.
Per ingraziarsi il presidente, i senatori gli hanno intanto concesso “massima flessibilità”: è lui che può decidere quanta pressione fare, e quando, sulla Russia di Vladimir Putin. E qui sta il rischio, dal momento che Trump si muove in modo altalenante: ieri, durante il “grande annuncio”, ha detto che ci saranno dazi al 100 per cento alla Russia se entro 50 giorni non ci sarà un accordo e ha parlato in modo vago di “sanzioni secondarie”. Finora il presidente aveva risparmiato ai russi la sua guerra commerciale, dicendo che l’interscambio con la Russia è ridotto a zero. Non lo è, nel 2024 era pari a 3,5 miliardi di dollari, che certo non è tanto ma non è nemmeno niente, tanto più che i dazi sono stati imposti a paesi che hanno uno scambio commerciale inferiore. Ora Trump minaccia dazi, ma a che cosa?
Forse la risposta sta proprio nella legge sulle sanzioni ferma al Senato. Questa consentirebbe al presidente di imporre un dazio fino al 500 per cento sulle importazioni dai paesi che acquistano uranio, gas e petrolio russi, in particolare Cina, India e Brasile. E’ “la mazza” che il Congresso vuole mettere nelle mani del presidente, e i due senatori, Graham e Blumenthal, non escludono nemmeno che gli Stati Uniti dispongano degli asset russi congelati, che ammontano a circa 300 miliardi di dollari, per lo più in Europa, ma 5 miliardi sono in America: sarebbe la prima volta che accade, nessun presidente americano ha mai sequestrato gli asset della Banca centrale di un paese con cui gli Stati Uniti non sono in guerra.
I primi segnali di un via libera alle sanzioni da parte di Trump erano arrivati la settimana scorsa: era dalla fine di maggio, quando il presidente aveva minacciato “sanzioni pesanti” alla Russia, che non si parlava più di queste misure e nemmeno della legge. Poi Trump l’ha citata, ma aggiungendo l’espressione “my option”, intendendo: il potere di mettere le sanzioni spetta a lui e non al Congresso. Domenica sera ha dichiarato all’Nbc: “Si sta per passare una legge sulle sanzioni molto importante e molto efficace, ma sta al presidente decidere se vuole applicarla o no”. Sei giorni fa, Politico ha citato una fonte anonima della Casa Bianca che diceva: “L’attuale versione della legge sottoporrebbe le decisioni di politica estera del presidente a una microgestione da parte del Congresso e questo non è un buon punto di partenza. L’Amministrazione non sarà gestita dal Congresso sulla politica estera del presidente. Il progetto di legge ha bisogno di un’autorità di deroga completa”. Il leader della maggioranza al Senato, il repubblicano John Thune, ha fatto capire che il messaggio era stato recepito e che i senatori avrebbero lavorato sul testo della legge in modo da assecondarlo (al momento sembra che ci siano ancora delle restrizioni al potere del presidente di revocare a suo piacimento le misure sanzionatorie ai paesi che fanno affari con la Russia).
Da un punto di vista generale, i senatori e i deputati continuano a spolparsi da soli dei propri poteri, attuando così il piano di accentramento che è il cuore del trumpismo, ma l’urgenza in questo caso specifico è un’altra, è la sopravvivenza dell’Ucraina colpita ferocemente dalla Russia, e le sanzioni sono uno strumento efficace. Ancor più se si pensa che, nei mesi di mandato trumpiano, non sono state ancora introdotte nuove sanzioni alla Russia né sono state aggiornate quelle esistenti (che sono oltre seimila, il lascito dell’Amministrazione Biden), cosicché Mosca ha imparato ad aggirarle.
La settimana scorsa Graham e Blumenthal erano a Roma per la Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, hanno partecipato alla riunione della coalizione dei volenterosi assieme all’inviato Keith Kellogg (anche questa è una prima volta) e ieri hanno incontrato il segretario generale della Nato, Mark Rutte, in visita a Washington per mettere a punto il piano di fornitura di armi all’Ucraina. Il destino della loro legge, della loro “mazza”, resta incerto.