Il monito della Commissione Ue al governo sul caso Unicredit

I governi nazionali possono agire a tutela degli aspetti economici connessi con la sicurezza nazionale, ma nel rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione europea. In particolare della proporzionalità. Il giudizio di Bruxelles e due paradossi

La decisione presa dal governo, il 18 aprile, di esercitare i poteri speciali (golden power) per tutelare la sicurezza nazionale, “nella forma dell’imposizione di specifiche prescrizioni”, in relazione all’offerta pubblica di scambio volontario su tutte le azioni di Banco Bpm da parte di Unicredit, ha aperto una varietà di fronti. Vi è il fronte parlamentare, con la richiesta rivolta da alcuni senatori del Partito democratico al governo di rivedere sia le basi giuridiche per l’esercizio dei poteri speciali, sia alcuni contenuti del decreto. Vi è il fronte giudiziario, con la recente sentenza del Tar del Lazio (commentata sul Foglio il 12 luglio) che ha annullato due delle quattro prescrizioni imposte dal decreto governativo. Vi è anche, non ultimo per importanza, il fronte europeo, relativamente al quale la Commissione europea ha reso nota la propria valutazione preliminare sulle condizioni imposte all’acquisizione di Bpm.

Per comprendere la portata di questa valutazione, bisogna considerare l’oggetto dell’operazione, il parametro del giudizio, la natura del giudizio e i suoi possibili effetti. L’operazione ricade nel perimetro del mercato europeo, per cui è inappropriato parlare di ingerenza dell’Unione europea. Il parametro del giudizio è stabilito dall’articolo 21 del regolamento sulle concentrazioni. Ma non è costituito semplicemente dalla tutela della concorrenza, relativamente alla quale la Commissione ha già approvato l’operazione intrapresa da Unicredit. Comprende il bilanciamento tra gli aspetti economici e quelli connessi con la sicurezza nazionale.

La Commissione osserva infatti (anche alla luce della sentenza del Tar) che i governi nazionali possono certamente agire per proteggere un interesse di questo tipo, ma devono farlo nel rispetto dei principi generali del diritto dell’Unione europea, in particolare della proporzionalità. Non basta, quindi, affermare che una certa condizione è giustificata dal pubblico interesse: occorre dimostrare che quella misura non incide sull’interesse delle imprese coinvolte più di quanto sia strettamente necessario. Il giudizio spettante alla Commissione non è quindi un semplice accertamento. Richiede una valutazione complessiva di tutti gli aspetti rilevanti, ragion per cui essa ha osservato che la decisione governativa non è sufficientemente motivata. Dunque, ha espresso un chiaro monito, chiedendo al governo di presentare le sue osservazioni.

In attesa di conoscere gli sviluppi, si possono notare due paradossi. Il primo è che la disciplina dei poteri speciali, che serve a tenere sotto controllo gli investimenti esteri nel nostro paese, viene utilizzata nei confronti di due operatori nazionali, non di paesi extraeuropei. Il secondo paradosso è che il governo dichiara di voler agire in modo costruttivo con la Commissione, ma tardivamente, senza averle previamente notificato la propria decisione.

Questa vicenda va presa molto sul serio, perché una valutazione definitiva di segno critico comporterebbe l’apertura di una procedura di infrazione davanti alla Corte di giustizia. Un esito non auspicabile.

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