Mille giorni di governo Meloni: poteva ricucire ferite profonde, ha scelto il conflitto

La premier guida il paese in un momento storico cruciale. Eppure ha preferito alimentare le divisioni, giocando nel campo della polarizzazione identitaria

Le opere pubbliche, spesso, raccontano meglio di qualunque altra cosa i limiti del nostro paese. Si aprono cantieri senza una vera programmazione, si tagliano nastri prima ancora che inizino i lavori, poi i lavori si fermano, riprendono, vengono reinaugurati. E intanto, passano gli anni. Quando finalmente l’opera è finita, spesso è già superata. È costata troppo, è arrivata troppo tardi, è stata pensata per un mondo che nel frattempo è cambiato. I mille giorni del governo Meloni assomigliano a uno di questi cantieri infiniti. Si è partiti con grandi promesse, ma a oggi restano soprattutto le recinzioni. È difficile perfino capire quale sia la direzione di marcia. Il presunto ruolo da protagonista sulla scena internazionale si è trasformato in una posizione passiva e subalterna alle dinamiche del trumpismo. Le riforme bandiera, come il premierato e l’autonomia, sono rimaste fogli mal scritti, senza visione né consenso. La riforma fiscale si è persa per strada, mentre il ceto medio, anziché essere sostenuto, è stato lasciato solo di fronte a inflazione, precarietà e tasse indirette. E la difesa del Made in Italy, sbandierata a ogni occasione, ha finito per diventare un freno all’innovazione, tra scelte improvvisate sul golden power e concessioni opache nel settore dell’energia. Di ognuno di questi progetti resta solo il recinto. Come se l’idea stessa di costruire qualcosa si fosse dissolta. Ma non è solo questo a colpire.



Meloni guida il governo in un momento storico in cui avrebbe potuto ricucire le ferite più profonde del paese. Ha scelto invece la via opposta. Nessun passo verso una cultura liberale o pienamente europea. Ha preferito alimentare le divisioni, giocando nel campo della polarizzazione identitaria. E su quel terreno si muove con sicurezza, sapendo che una parte agguerrita dell’elettorato la seguirà comunque. Negli anni ’90 Berlusconi personalizzò il potere e cambiò il modo di fare politica. Oggi assistiamo a una novità diversa, forse più scaltra, ma più pericolosa: un bi-populismo che esclude chi non si riconosce in questa logica identitaria, chi cerca stabilità, risultati concreti, istituzioni che funzionano.




Non credo alle svolte moderate. Non ci ho mai creduto. A volte arrivano scelte di buon senso, ma sono più spesso scelte obbligate. Il cuore di questo governo non è la responsabilità, è la forza. Ma non la forza delle buone decisioni: è la forza del conflitto, del potere preso e tenuto da un gruppo ristretto, senza una vera classe dirigente plurale. Il paradosso è che Meloni continua a vincere anche grazie ai riflessi pavloviani di una sinistra incapace di smarcarsi da questo schema. Ma quanto potrà durare, non dipende solo da lei. Dipende anche da chi saprà finalmente rimettere al centro il merito, il futuro e il senso dei cantieri veri: quelli che servono al Paese.

Pina Picierno


vicepresidente del Parlamento europeo


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