Dai farmaci all’agroalimentare: i settori commerciali più colpiti dai dazi di Trump

Coldiretti stima perdite fino a 2,3 miliardi sul cibo made in Italy, da aggiungersi ai danni per la mancata crescita. Mentre il tessile e abbigliamento italiano hanno negli Stati Uniti il terzo mercato di sbocco. I comparti più a rischio dopo la lettera inviata all’Ue dalla Casa Bianca

A partire dal primo agosto, sulle esportazioni europee negli Stati Uniti verranno applicati dazi del 30 per cento. Lo si legge nella lettera inviata sabato dal presidente americano Donald Trump alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, accompagnata da un avvertimento: “Se per qualsiasi motivo decidete di aumentare le vostre tariffe e di reagire, l’importo, qualunque sia l’aumento scelto, verrà aggiunto al 30 per cento che applichiamo”. Bruxelles ha risposto con la sospensione delle contromisure europee fino all’inizio di agosto, nel tentativo di preparare il terreno per una soluzione negoziata con Washington.

Nel frattempo, l’industria europea conta i possibili danni provocati dai dazi degli Stati Uniti, in cui solo a maggio l’Italia ha registrato un surplus commerciale di 3,1 miliardi. Fra i settori più a rischio spicca la farmaceutica, la principale voce dell’export europeo negli Stati Uniti: pari al 22,5 per cento del totale nel 2024. La nuova aliquota annunciata da Trump potrebbe “pesare per oltre 4 mld per il settore farmaceutico italiano, considerando la svalutazione attuale del dollaro”, ha spiegato all’Adnkronos Salute il presidente di Farmindustria Marcello Cattani, dicendosi comunque fiducioso rispetto al lavoro diplomatico dell’Europa e del governo italiano: “Siamo convinti che la negoziazione del commissario Maros Sefcovic arriverà ad un risultato positivo rispetto a smentite, annunci, controannunci che abbiamo registrato in questi mesi arrivare dagli Usa”. D’altronde, come ha spiegato al Foglio lo stesso Cattani, l’impatto sarebbe per la filiera italiana, ma anche per i cittadini statunitensi: “I rincari generati dai dazi porterebbero a delle carenze, che a loro volta interromperebbero la continuità terapeutica dei pazienti americani, con enormi costi per il loro sistema assicurativo”.

Possibili perdite anche per l’automotive. L’anno scorso nel 2024 dall’ Ue sono partiti verso gli Stati Uniti circa 750mila veicoli per un valore di 38,5 miliardi di euro. I dazi al 30 per cento si abbatterebbero anche sui produttori di componentistica, così come per il settore dei macchinari industriali, che esporta tra i 6 e i 7 miliardi in America. Si aggiunge poi l’industria dell’aeronautica che è già soggetta a dazi su acciaio e alluminio incrementati a giugno dal 25 al 50 per cento e del 10 per cento sui prodotti finiti, come gli aerei. Airbus e Boeing che avevano chiesto a giugno, al salone di Le Bourget, la rimozione delle barriere doganali per salvaguardare l’equilibrio del mercato globale, ma la nuova stretta rischia di aggravare i costi di produzione e frenare gli ordini transatlantici.

Fra gli altri settori a rischio c’è quello della cosmetica, che vede negli Stati Uniti il primo partner commerciale grazie a un valore di oltre 1,1 miliardi di euro, pari a circa il 13 per cento dell’export totale di beauty made in Italy. Si mostra vulnerabile poi il lusso, sia per la Francia che per l’Italia. Il conglomerato francese LVMH che genera un quarto del suo fatturato proprio negli Usa (con il 34 per cento dei ricavi provienente da vini e liquori del gruppo), mentre per quanto riguarda il nostro paese, il settore tessile e abbigliamento ha negli Stati Uniti il suo terzo mercato di sbocco, con un valore di oltre 2,75 miliardi di euro nel 2024.

Il settore che risentirebbe maggiormente dei nuovi dazi trumpiani sarebbe quello agroalimentare soprattutto italiano e francese. Secondo Coldiretti, quello proveniente dalla Casa Bianca è un “colpo mortale” che potrebbe costare alle famiglie statunitensi e all’agroalimentare italiano fino a 2,3 miliardi di euro di danni diretti. Con i nuovi dazi, infatti, i rincari arriverebbero al 45 per cento per i formaggi, al 35 per i vini e al 42 per conserve e marmellate. Al danno immediato in termini di un probabile calo delle esportazioni “andrebbe ad aggiungersi quello causato dalla mancata crescita – osserva Coldiretti – con il cibo made in italy in Usa che quest’anno puntava a superare il traguardo dei 9 miliardi di euro, dopo aver raggiunto lo scorso anno il valore record di 7,8 miliardi di euro, grazie a un incremento delle vendite del 17 per cento rispetto al 2023”.

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