Incendi, degrado e urbanistica fuori controllo, nessuno porta davvero la croce della responsabilità. L’attuale sindaco e quelli precedenti ne detengono un pezzetto ciascuno, ma nessuno ha il pacchetto completo. L’unica soluzione è radere al suolo, commissariare la città per tanto tempo e rinascere
È il 4 luglio ma i fuochi dell’indipendenza americana c’entrano poco qui a via dei Gordiani, zona Casilino 23, agglomerato popolare di incerta urbanistica geologicamente sedimentatasi nel corso degli anni; ci sono fiamme, volute nerissime di fumo in cielo, oceani di vetri infranti sparsi sull’asfalto. Il boato si è sentito per tutta la città, dai Parioli all’Eur, e si è temuto per l’attentato. In certa misura, di attentato si tratta ma non di quelli incappucciati e con rivendicazioni religiose o politiche: è, al contrario, un attentato alla dignità del vivere civile. E se la tragedia per ora ha tolto la vita solo a Claudio Ercoli, il 67 enne che lavorava alla pompa di benzina, deceduto ieri dopo giorni di agonia con il 55 per cento del corpo ustionato, è stato solo per il sincronico tempismo di vigili del fuoco, polizia locale e forze dell’ordine statali che hanno pagato un prezzo assai alto, con oltre cinquanta feriti di cui due in modo grave. Drammatica fatalità, certo. Ma in questo quadrante, zona in cui autodemolizioni, parchi di erba arsa e incolta, piazzole con carcasse di auto ammonticchiate, strade a feritoia con palazzi che aggettano su distributori di benzina e di Gpl, e scuole, l’effetto tsunami è dietro l’angolo; solo la prontezza di una funzionaria del gruppo territoriale di polizia locale, che ha evacuato le due scuolette attorno il distributore saltato in aria, ha evitato un dramma dalle sfumature alla Erode.
Poche ore dopo, non distante, una roulotte adibita a giaciglio da un senzatetto si infiamma, divampa, arde, ennesimo rogo, ennesima colonna di fumo denso e nero, prendono fuoco le sterpaglie attorno. Ma non finisce qui. Nel pomeriggio, nel verde che poi verde non è, attorno il Forte Prenestino, ennesimo incendio, il fumo si vede da chilometri. A metà giugno era andato a fuoco il parco di Tor de’ Schiavi e pochi giorni prima le fiamme si erano levate crepitanti tra viale Palmiro Togliatti e Torre Spaccata. Sempre in quei giorni, c’è una iconografica foto a immortalarlo, un incendio nei pressi dell’aeroporto di Centocelle. Una sequenza stordente, e che ritualmente ogni anno si riproduce. E, a vedere bene, c’è tutto qui dentro. Urbanistica irrazionale e caotica che ha fatto di questo immenso, popoloso quadrante di Roma, Roma Est, sospeso tra i Municipi V e VI, Centocelle, Villa Gordiani, le Torri, il Quarticciolo, l’Alessandrino e il pasoliniano Mandrione, una riedizione sciatta di Bellona, la città-protagonista del romanzo ‘Dhalgren’ di Samuel R. Delany, una sorta di organismo ricombinante, cieco e gorgogliante che ingoia speranze e politica e dignità del vivere. Ci sono l’incuria e l’inerzia amministrativa, nutrite di mangrovie ocra essiccate che prendono fuoco al primo mozzicone acceso lanciato da automobilisti incivili, pagliericci, accampamenti furtivi e abusivi. Gli sfasciacarrozze, anni e anni per spostarli dal cuore purulento della Togliatti, loro che per concorrenza sleale, o peggio, ogni tanto si facevano tizzoni carnicini di fuoco. Tra serpenti di metallo, torchi, volti fumiganti di istrionico lumpenproletariat, ce lo vedi quasi Eichmann in drag che danza davanti le macchine annientate, purissimo James G. Ballard de ‘La mostra delle atrocità’.
La verità è che, come ha scritto Italo Insolera nel suo ‘Roma moderna’ (Einaudi), lettura obbligata per studenti capitolini d’architettura e non solo, “Roma, in cento anni, non ha mai visto operanti dei piani che fossero veramente atti di civiltà e di amore; i piani sono sempre nati dalla fretta della politica e dalla presunzione di un disegno, preceduti e accompagnati dalla lotta – e dall’accordo – degli speculatori”. Questo magma di cemento, degrado, fiamme e cattive intenzioni è l’epitaffio di decenni di mancanza di visione politica. Delitto perfetto. Nessuno ne porta davvero la croce della responsabilità. Non Gualtieri o la Raggi. O Marino o Alemanno o Rutelli o Veltroni. Nessuno. Né i capi dipartimento o i capi di gabinetto o i direttori generali. Ciascuno detiene un pezzetto, una micro-quota, ma nessuno ha il pacchetto completo: come gli indovini puniti da Dante ecco i politici avanzare col capo rivolto all’indietro, alla ricerca del colpevole. Che però non c’è mai, disperso tra le nebbie, tra i decenni, tra le leggi-provvedimento degli anni Cinquanta quando si preferì trasferire denari alla Capitale pur in assenza di una razionalità amministrativa e governativa. Unica soluzione, ora: abbattere tutto e poi ricostruire, nel nome della dignità. E commissariare la città. Per molto tempo.