Meloni fra deficit e politica negozia il ReArm. E apre a Step, come nuovo strumento di flessibilità

La premier riceve il commissario all’Economia Dombrovskis. Al centro il piano europeo di difesa. I dubbi della premier su come finanziarlo e le opposizioni già sul piede di guerra

Il “come” è ancora tutto da esplorare. La volontà politica c’è ed è reciproca: l’Europa aiuterà l’Italia ad aumentare le spese per la difesa, perché questo vuole Roma, perché così ha deciso Bruxelles. Nel giorno della chiusura della Conferenza per l’Ucraina, con il tema del riarmo sullo sfondo, la premier Giorgia Meloni ha ricevuto a Palazzo Chigi Valdis Dombrovskis, commissario europeo all’Economia, la produttività, l’attuazione e la semplificazione. Il quale giusto ieri l’altro aveva incontrato anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, dubbioso e cauto di natura su un’iniezione di nuovo debito.


Sullo sfondo anche i dazi e dunque la famosa letterina di Donald Trump attesa dall’Europa (Italia compresa) con ansia e preoccupazione, come i quadri a fine anno per gli studenti negligenti.

Il piano di riarmo nasce come risposta al nuovo corso della Casa Bianca ma fa perno sulla minaccia russa, alle porte dell’Europa, tema che il lettone Dombrovskis conosce bene. Al termine del bilaterale a Palazzo Chigi in una nota ha indicato lo gnommero gaddiano di tutta la faccenda: “L’interazione tra l’attuazione del patto di stabilità e crescita e le spese per la sicurezza”. Tutto sta nella contraddizione tecnica fra la clausola per le spese in difesa dei governi e il regolamento europeo che norma i passaggi delle procedure per deficit eccessivo (cioè sopra il 3 per cento del pil). Roma punta a riportarlo sotto il 3 per il 2026, visto che quest’anno si è attestata al 3,3. La clausola proposta dal commissario permette agli stati membri dell’Unione europea di aumentare le spese per la difesa anche se un paese si trova in una situazione di deficit. “In questo caso andremo ad aggiustare gli obiettivi di deficit per non impedire all’Italia di aderire al piano”. Al di là del tecnicismo, che poi è sostanza quando i numeri diventeranno tabelle con impegni di spesa, da Palazzo Chigi filtra una frenata. Meloni sostiene che il piano ReArm così come è stato congegnato non la convince per il mix di prestiti e flessibilità rischia di indebitare ancora di più il governo. Anche perché le opposizioni sono già con il (metaforico) fucile spianato contro il governo. Basti registrare i commenti dopo la visita del commissario. Ecco Giuseppe Conte: “Meloni firma in Europa il nuovo Patto di stabilità con 13 miliardi di tagli l’anno ai danni anche di sanità, scuola, infrastrutture e investimenti e si trova condannata a partecipare a questa forsennata corsa al riarmo” mentre nel paese “si abbatteranno tagli a sanità e scuola e salirà sempre più la pressione fiscale”. Oppure Angelo Bonelli di Avs: “Stanno trasformano la nostra economia in un’economia di guerra”.

Se queste sono schermaglie buone per la propaganda e la piazza diverso è stato l’effetto del ragionamento del presidente di Confindustria Emanuele Orsini: “Va bene sforare il patto di stabilità per la difesa, abbiamo aziende eccezionali che fanno difesa, però non dobbiamo sforarlo solo per la difesa, non scordiamoci dell’industria”. E’ chiaro dunque come il sentiero di Meloni sia stretto e accidentato. Anche per questo motivo con il commissario europeo ha parlato di un nuovo strumento che si potrebbe utilizzare per affiancare il piano da 800 miliardi di euro varato da Ursula von der Leyen. Si chiama “Step”, e forse il suggerimento le è arrivato da Raffaele Fitto, punta di diamante di FdI in Commissione. “Step” è l’iniziativa proposta da Bruxelles per sostenere la competitività e rafforzare l’autonomia strategica dell’Unione Europea attraverso gli investimenti nelle tecnologie critiche. Al momento utilizza le risorse di programmi e fondi dell’Unione esistenti e le indirizza verso tre settori: tecnologie digitali e innovazione deep-tech, tecnologie pulite ed efficienti sotto il profilo delle risorse: e biotecnologie. Meloni spinge affinché le spese per la difesa passino da qui. La trattativa, anzi il negoziato, è apertissimo. Giorgetti fa ragionamenti da chi stringe i cordoni della borsa: prima l’Italia si mette al sicuro scendendo sotto la soglia del 3 per cento e poi si potrà iniziare a discutere di altro. L’obiettivo è tagliarare il traguardo entro quest’anno o al massimo nel primo semestre del 2026. Meloni ai numeri aggiunge la sostanza politica: seguire il piano del ReArm senza battere ciglio potrebbe prestare il fianco alle opposizioni soprattutto perché da settembre in poi sei regioni andranno al voto. E tutti le munizioni saranno valide. Sui dazi ancora tutto è sospeso, di sicuro dovrebbe esserci la presenza a Roma del commissario europeo Sefcovic, che da mesi tratta per l’Unione con gli Usa. Il tutto mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani sarà a Washington da Marco Rubio.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

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