La direttrice dell’intelligence contro il Washington Post

Tulsi Gabbard sbotta contro le domande di una giornalista che ha raccontato le reazioni interne alla comunità dell’intelligence sugli attacchi in Iran. La campagna di discredito del mondo Maga

Alla direttrice dell’intelligence americana Tulsi Gabbard non sono piaciute le domande e i reportage di una giornalista del Washington Post, Ellen Nakashima, che di recente ha raccontato le reazioni interne alla comunità dell’intelligence sugli attacchi in Iran. Prima Gabbard l’ha definita un’agente politica, poi ha scritto sui social che Nakashima avrebbe utilizzato dei cellulari usa e getta per bypassare l’ufficio stampa della direttrice, contattando direttamente personale dell’intelligence e mentendo sul suo ruolo di reporter. Gabbard ha accusato la giornalista – che è stata parte di tre squadre vincitrici di premi Pulitzer – di molestare agenti governativi e le loro famiglie, con comportamenti “da squilibrata”. Dice che da troppo tempo la prende di mira e che avrebbe stalkerato la sua famiglia alle Hawaii. “Il Washington Post – ha detto – dovrebbe vergognarsi, e dovrebbero finirla subito con questa storia”, aggiungendo che i metodi di Nakashima riflettono un “establishment dei media che vuole a tutti i costi sabotare le politiche di successo del presidente”.

A questa campagna di discredito della giornalista si sono subito accodate altre figure Maga, a prescindere dall’infondatezza delle accuse. Alcuni hanno addirittura chiesto la chiusura del giornale su cui Nakashima scrive da decenni di intelligence e sicurezza. Il Washington Post, di proprietà di Jeff Bezos, di recente si era in parte ricalibrato per esser meno critico nei confronti di Donald Trump e della sua Amministrazione. Dopo anni di litigi i due miliardari si erano riappacificati. Bezos aveva bloccato la pubblicazione dell’endorsement a Kamala Harris prima delle scorse elezioni e poi era andato all’inaugurazione di Trump, donando anche dei soldi. Ma il riposizionamento a quanto pare non è bastato, e per alcuni trumpiani l’informazione è un problema, e si finisce a chiedere di chiudere i giornali. “E’ semplice giornalismo”, ha detto il redattore capo del WaPo difendendo Nakashima, investigare e fare reportage è “un diritto vitale protetto dalla Costituzione”.

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