Vietare, normare, fermare. La legge sull’intelligenza artificiale scommette sulla repressione, aumenta la burocrazia, dà poteri alle procure e dimentica l’attrattività. Cercasi intelligenza naturale per proiettare l’Italia nel futuro
C’è una legge importante di cui si sta occupando la maggioranza di governo che negli ultimi mesi non ha trovato il giusto spazio sui giornali. La legge riguarda un tema a cui siamo affezionati, ovvero l’intelligenza artificiale. Riguarda il tentativo di introdurre una normativa nazionale attorno a questo tema, “per mitigare i rischi e cogliere le opportunità”. E riguarda più in generale la volontà, da parte del governo, di definire un’identità forte, di destra, quando si parla di tecnologia e quando si parla di AI. Il governo ha scelto di portarsi avanti con il lavoro recependo il prima possibile il cosiddetto “AI act” europeo, lo stesso che vuole demolire Trump, lo stesso che ieri quarantaquattro amministratori delegati europei hanno chiesto di rivedere, in quanto sarebbe autolesionistico per “le ambizioni dell’Europa in materia di intelligenza artificiale”, poiché tali norme “compromettono non solo lo sviluppo di campioni europei, ma anche la capacità di tutti i settori di implementare l’intelligenza artificiale su larga scala come richiesto dalla concorrenza globale”. A prima vista, dunque, si potrebbe credere che andare avanti con una legge sull’AI nonostante ciò che dice Trump sia un atto di coraggio, da parte dell’Italia. Ma è sufficiente leggere il testo della legge per farsi un’idea diversa. In che senso? Ci arriviamo.
Al momento della trasmissione del disegno di legge al Senato, avvenuta lo scorso 27 giugno, l’ufficio studi di Palazzo Madama ha fornito una scheda per provare a inquadrare al meglio i punti principali presenti in questa legge. Sono centoquarantuno pagine fitte, e all’interno del testo le parole più ricorrenti sono queste. La parola “rischio” è utilizzata centotrenta volte. E per circa trecento volte sono utilizzate altre parole: “Illecito”, “reato”, “violazione”, “manipolazione”, “abuso”, “danno”, “pena”, “sanzione”, “divieto”. L’elenco di queste parole non è casuale, ma è il riflesso perfetto, e sconfortante, con cui il governo italiano ha scelto di far propria una delle sfide più importanti della nostra contemporaneità: come trasformare l’intelligenza artificiale in un motore in grado di potenziare non solo l’intelligenza naturale ma anche la capacità attrattiva di un paese. E anziché cogliere la centralità di questa sfida, anziché fare uno sforzo creativo per mettere l’intelligenza artificiale al servizio dell’intelligenza naturale, il governo ha scelto di trattare il tema utilizzando una leva ormai ricorrente: quella della repressione. Nel disegno di legge vi è un solo articolo dedicato agli investimenti, alla competitività, all’attrazione di capitali esteri ed è il numero ventitré. Il governo, in pompa magna, in questo articolo, promette di stanziare risorse già esistenti, delega la gestione di quelle risorse già esistenti, circa un miliardo di euro, a una realtà che era stata già delegata a gestirle, Cdp Venture Capital. Aggiunge a quelle risorse 300 mila euro all’anno per due anni (2025 e 2026) per progetti “sperimentali” del ministero degli Esteri (in Francia, oltre al miliardo e mezzo stanziato dal governo, sono stati stanziati, dai privati, coordinati dal governo, 109 miliardi per infrastrutture AI e data center, mentre in Germania i miliardi stanziati sono 11, tra 5 miliardi di investimenti pubblici e 6 miliardi addizionali del settore privato).
E oltre a questo, la legge non dedica una sola riga a temi invece presenti nelle iniziative sullo stesso tema portate avanti da molti partner europei. Niente incentivi fiscali specifici per le startup che si occupano di intelligenza artificiale, niente crediti di imposta per investimenti in modelli generativi, niente semplificazioni per chi vuole testare nuovi prodotti in Italia. Quello che invece si trova in modo massiccio all’interno del disegno di legge sull’AI riguarda il tic luddista e repressivo del governo che in perfetta sintonia con l’Unione europea di fronte al bivio tra scommettere sulla propria capacità di innovare o regolamentare le innovazioni degli altri ha scelto la seconda strada. Lo schema è sempre lo stesso. Si creano reati nuovi, si aumentano le pene, si introducono nuove fattispecie andando a punire ciò che era già punito e rendendo più salate le pene per reati già esistenti. Si introduce, per esempio, la “diffusione illecita di contenuti falsi (Art. 612-quater)” anche se esistevano già norme che punivano la diffamazione aggravata, il cyberbullismo, il revenge porn. Si aggiunge, ancora, un’aggravante all’aggiotaggio e alla manipolazione, anche se i reati erano già puniti. Come se non bastasse si introducono tipologie di reato così vaghe tali da dare alle procure la possibilità di utilizzare in modo discrezionale i nuovi strumenti di lotta al crimine (che cosa si intende, esattamente, quando si dice che sarà punito “chiunque cagiona un danno ingiusto diffondendo […] immagini, video o voci falsificati o alterati idonei a indurre in inganno”, vale solo per i deepfake o vale anche per i comici?). E come se non bastasse, ancora, piuttosto che agevolare le piccole e medie imprese a investire sull’AI, la legge introduce nuovi vincoli, nuove procedure, nuovi standard di trasparenza e di tracciabilità sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale, con il rischio, probabilmente calcolato, di allontanare le aziende dall’AI, dunque dall’innovazione, dunque dal futuro. La storia che vi abbiamo raccontato riguarda l’intelligenza artificiale, certo, ma riguarda un problema più grande con cui deve fare i conti l’Italia, quella meloniana e non solo quella, quando si ritrova a parlare di innovazione. L’istinto non è promuovere, ma è vietare. L’istinto non è investire, ma è normare. L’istinto non è scommettere sul futuro, ma è mettersi dalla parte di chi il futuro lo teme. L’intelligenza naturale è la punta, l’Italia è il resto dell’iceberg. Cambiare si può. Nel caso fosse necessario, l’intelligenza artificiale, in assenza di quella naturale, può aiutare persino a capire come fare. Basta un clic.