I social e lo scroll compulsivo stanno facendo evolvere anche la socialità e la moda. Si fa conversazione, sonnecchiante, e soprattutto si guardano video sugli smartphone. Come cantava Arbore, in Occidente il materasso è diventato sinonimo di felicità
Proviamo a guardare oltre il mero fatto che la modella Vittoria Ceretti abbia strappato un abito vintage di Dolce&Gabbana al pigiama party di chiusura del matrimonio di Jeff Bezos con Lauren Sanchez e che si tratti del secondo caso di devastazione modaiola dopo il danno irreparabile inflitto all’abito a pelle, il celeberrimo naked dress disegnato da Jean Louis nel 1962, in cui Marilyn Monroe si fece cucire dalle sarte (glielo cucirono proprio addosso), per augurare buon compleanno a John Fitzgerald Kennedy e che Kim Kardashian, nonostante la dieta ferrea, lacerò in diversi punti a un Met Gala di qualche anno fa.
La questione non è che le famose di oggi non posseggano né l’educazione né lo stile “to rock those dresses”, per farli gravitare nello spazio, e che nemmeno abbiano la decenza di non voler pagare cifre salate ai collezionisti privati per indossarli, perché gli abiti da museo, soprattutto quelli entrati nella memoria collettiva e che vengono conservati a temperatura regolata come le opere d’arte che sono, non si indossano mai, e non a caso nei musei seri che, duole dirlo, sono sempre musei statali, che si trovino negli Usa o in Italia, vengono trattati, letteralmente e giustamente, da conservatori con i guanti sterili e le mascherine per evitare che qualche batterio penetri nelle fibre tessili, continuando un’opera di deperimento che è sempre piuttosto imponente già di suo. Guardiamo la broader picture, l’immagine più grande come direbbe appunto Bezos.
Perché duecentocinquanta adulti, anche molto maturi e in modo molto evidente a dispetto del pilates quotidiano e del botox, hanno ritenuto divertente organizzare un pigiama party accompagnando l’invito a un paio di friulane di velluto delle ragazze Arrivabene, unico tocco elegante del matrimonio più volgare dell’anno e che infatti nessuno ha indossato?
Guardandola appunto da lontano, con taglio panoramico, la broader picture è piena di letti. Letti da spiaggia, da performance artistica, da campagna pubblicitaria, da presentazione di collezione di moda, che è il caso di Valentino nella proposta estate 2026 di Alessandro Michele che – abiti a parte perché in questi giorni abbiamo scritto tutti a sufficienza sulle involuzioni in atto nella maison romana fra il congedo per malattia del ceo Jacopo Venturini e i risultati di vendita in forte calo – dimostra in realtà di avere ancora una percezione sociale molto acuta.
E l’evoluzione in corso ci dice che nessuno si siede più: avrete notato che anche dalla caletta più impervia sono sparite le sedie a sdraio, sostituite da lettini imbottiti, con tendalino di protezione, e non si tratta solo di una questione di prezzo aggiuntivo che gli stabilimenti possono applicare per il servizio in più e che spesso viene ulteriormente addizionato di quell’invenzione atroce che sono i dj set, vorresti rilassarti e invece devi ballare sotto il sole.
Il lettino, o lettone, è la dimensione della società occidentale stanca di tutto e vorace solo di filmatini su youtube. Siano giovani o meno, tutti si sdraiano, si stravaccano, si accasciano come le “scimmiette” della celebre scena del ballo del “Gattopardo”, quando il principe di Salina osserva con disprezzo le giovani invitate che berciano e si sventagliano semi-sdraiate sui grandi sofà fra sbuffi di crinoline, gemendo “gesummaria” per il caldo, la noia, l’ansia di avere un’intera vita davanti da dover riempire di qualcosa.
La generazione degli sdraiati di cui scriveva Michele Serra poco più di un decennio fa, chinandosi con ironia e tenerezza sui rapporti fra adulti e adolescenti, ha visto la netta vittoria di questi ultimi, certamente aiutati dai social e in particolare da TikTok. Magari buttandosi sul sofà non esalano quel tipico “oooff” soddisfatto che, osserva un amico inglese, è il tipico segnale dell’età avanzata: però si buttano sul primo cuscinone disponibile, possibilmente si mettono orizzontali, alzano le braccia ad altezza occhi e iniziano a scrollare. Qualche settimana fa, ospiti di Brunello Cucinelli e Essilor Luxottica per la presentazione della nuova collezione di occhiali da sole, abbiamo fatto una lunghissima passeggiata sulla battigia di Forte dei Marmi e di Marina di Pietrasanta sapete quel genere di faticosissimi tour con la testa al sole e i piedi infilati nella sabbia fradicia e pesantissima a cui si sottopongono le signore con l’idea che sia del tutto equivalente a una sessione di piscina Kneipp e che aiuti la circolazione “pompando il sangue verso l’alto”.
Bene: da un capo all’altro dell’immensa distesa di stabilimenti balneari, modello Twiga certamente che adesso si fregia dell’ennesima “collab” balneare, con i Dolce&Gabbana che sono in effetti in linea col contesto e le celebri giraffe di cartapesta (“voi del vecchio centro di Milano non siete la nostra clientela di riferimento”, il commento quando abbiamo chiesto alla direzione marketing se fosse davvero necessario rafforzare lo sfarzo), forse ne avremo incrociato uno provvisto delle vecchie sdraio di tela pieghevoli, e anche quelle erano affiancate ai lettini o lettoni allestiti sotto alle tende, tariffa giornaliera 280 euro minimo ma per quella “imperiale” si arriva a 1500. Ovunque, tutti sdraiati, una distesa di piante dei piedi a vista e di braccia tese in supplica muta o anche sonora di un nuovo feed dello smartphone, perché ci fosse uno che non abbia voglia di far ascoltare ai vicini le proprie conversazioni private o di pubblicizzare il proprio gusto sopraffino nella scelta dei reel e dei “pov” da parte dell’influencer preferito. La fashion week uomo milanese appena conclusa è stata inaugurata da una performance sdraiata diretta da Antonio Marras che, a un paio di anni dalla cessione della maggioranza a Sandro Veronesi di Intimissimi, lanciava in forma ufficiale l’underwear, una messe di calzoncini e canottiere Anni Cinquanta di quel genere che un tempo si sarebbe definito “per lei e per lui” e oggi “genderless”, e si è conclusa con il party, modello villaggio divertimento, montato da Jacob Cohen ai laboratori Ansaldo per festeggiare il mezzo secolo di storia: molte camicie di jeans, un tavolo da biliardo rivestito di denim, un banchetto del cioccolato, un inopinato campo di grano con finta apicultrice, ma soprattutto molti sofà imbottiti, larghi e quadrati simili, appunto, a quelli del ballo del “Gattopardo” nella riduzione cinematografica viscontiana, e parimenti di ospiti.
Come è accaduto che il materasso sia diventato davvero sinonimo di felicità eterna, quotidiana e “h24” come dicono i nuovi analfabeti, ce lo siamo un po’ spiegato, ma non abbastanza. Prendete il celebre salotto secentesco della marquise de Rambouillet, Catherine nata dalle famiglie italiane, sarà mica un caso, Savelli e Pisany (o Pisani) e a cui è intitolata proprio la strada qui dietro: principalmente per questioni di salute, madame che avrebbe dato vita al primo movimento letterario femminile, le Preziose, riceveva “le grand monde” a letto, e nello stretto passaggio fra i muro e l’alcova, la cosiddetta “ruelle” o stradina, si sedevano Corneille, Voiture, madame de la Fayette a cui dobbiamo il primo romanzo moderno, madame de Sévigné e insomma chiunque contasse qualcosa nella Parigi dell’epoca. Certamente, il letto era anche una posa, ma non risulta che vi stesse sdraiata. Note e ritratti la mostrano infatti seduta e sostenuta dai cuscini, più o meno come Mina quando decideva che fosse arrivato il momento di dimagrire prima di uno spettacolo e vi confinava a letto per settimane, al termine delle quali riemergeva magrissima e pronta per infilarsi in un abito da sera di Corrado Colabucci.
Che “il caldo delle coperte renda più attivi”, come diceva Micol Finzi Contini che, nel romanzo di Bassani, vi scrive in pratica tutta la tesi, è un fatto che le donne, in particolare le scrittrici, hanno avuto modo di sperimentare in molte occasioni. Malate o meno. Scrive a letto Vita Sackville West e la sua amante preferita, Virginia Woolf, che nel confinamento nel letto, anche per malattia, vede un’occasione, perfino nel senso etimologico del termine: occasio, dal latino ob + cídere, che indica anche l’ovest, il tramonto, è connesso al movimento di caduta, la parabola discendente.
Qualcosa che ci cade davanti, che ac-cade, e che dunque non è necessariamente un male. Sdraiati a letto, non più “erecti”, per qualunque ragione questo succeda, vediamo il mondo da un’altra prospettiva. Qualcosa che, in piedi, continuava a sfuggirci e che da sdraiati, invece, ci si rivela. Farlo da malati è naturalmente un’opportunità che nasce da una costrizione. Farlo per un’intera vacanza, per una serata, per una campagna pubblicitaria, indica naturalmente qualcos’altro. Che cosa, dobbiamo ancora scoprirlo fino in fondo.