Per il giurista la commissione parlamentare guidata da Colosimo “svolge indagini su Via D’Amelio che spettano ai pm: è diventata uno strumento di confusiva sovrapposizione rispetto al lavoro della magistratura”. La pista mafia e appalti? “Un mito aprioristico come la Trattativa”
“Questa commissione Antimafia la chiuderei. E’ diventata uno strumento di confusiva sovrapposizione rispetto ad alcune indagini in corso. Invade terreni che non le competono”. E’ netta la posizione di Giovanni Fiandaca, emerito di Diritto penale all’Università di Palermo, nei confronti dell’attività condotta dalla commissione parlamentare presieduta da Chiara Colosimo, incentrata sulla strage di Via D’Amelio e sull’indagine mafia e appalti. “La vera funzione della commissione Antimafia sarebbe quella di svolgere indagini sul fenomeno generale delle mafie, verificare l’adeguatezza delle leggi, suggerire miglioramenti o modifiche, studiare possibili interventi socio-economici da realizzare in funzione preventiva, non concentrarsi su un’indagine specifica come sta accadendo ora, cercando di acquisire elementi di verità al di là di ciò che i processi sono giunti a fare”, dice Fiandaca al Foglio.
Da quando si è insediata, la commissione Antimafia ha infatti concentrato le sue attenzioni sull’indagine mafia e appalti, condotta agli inizi degli anni Novanta dall’allora comandante del Ros dei Carabinieri, Mario Mori, e dal colonnello Giuseppe De Donno su indicazione prima di Giovanni Falcone e poi di Paolo Borsellino. Proprio su ciò che è avvenuto attorno a questa indagine, che venne in gran parte archiviata subito dopo la strage di Via D’Amelio, si sono focalizzati i pm di Caltanissetta, che sono giunti a iscrivere nel registro degli indagati persino l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e l’ex sostituto procuratore a Palermo, Gioacchino Natoli.
Per Fiandaca si sta assistendo a un “allineamento deprecabile tra la procura di Caltanissetta e la commissione Antimafia”: “Sembra che entrambe convergano nel sostenere la tesi del ruolo centrale delle indagini sugli appalti per spiegare la strage di Via D’Amelio, col risultato che si sovrappongono due verità aprioristiche: c’è il centrodestra, con la procura di Caltanissetta che ne ha sposato le posizioni, che prospetta l’indagine sugli appalti come ragione giustificatrice della strage in cui venne ucciso Borsellino, poi ci sono i vari magistrati alla Scarpinato e forze politiche di centrosinistra che tendono a ridimensionare questa verità e a riprospettare, nonostante la bocciatura in Cassazione, l’altro mito della Trattativa. Quindi ci sono due miti aprioristici e contrapposti”, afferma Fiandaca. “Ma è possibile che il Consiglio superiore della magistratura, il ministro della Giustizia Carlo Nordio o altri esponenti politici non dicano niente su questa interazione perversa?”, si chiede Fiandaca.
Qualcuno potrebbe dirle che c’è una sentenza, quella del processo Borsellino-ter, che individua l’attenzione posta da Borsellino all’inchiesta mafia e appalti come un possibile elemento che avrebbe indotto Cosa nostra a uccidere il magistrato. “Ma nella sentenza c’è la prospettazione di una mera ipotesi astratta. Non c’è alcun elemento concreto che accrediti questa ricostruzione”, risponde il giurista.
Fiandaca è critico anche sulla procura di Caltanissetta, che ha fatto perquisire tre abitazioni dell’ex procuratore nisseno Giovanni Tinebra, morto nel 2017, alla ricerca dell’agenda rossa di Borsellino: “Bisogna essere molto prudenti prima di muovere ipotesi molto infamanti contro soggetti deceduti, che quindi non possono difendersi, coinvolgendo anche i famigliari. Inoltre mi sembra che la procura enfatizzi in maniera eccessiva la presunta appartenenza di Tinebra a un gruppo massonico di Nicosia, che con tutto il rispetto non è il centro del mondo”. Insomma, i teoremi non finiscono mai.