Mentre i prezzi dei beni energetici calano, quelli del carrello raddoppiano rispetto all’indice generale, anche per via di una filiera agricola con una verticalità lunghissima e inefficienze elevate. Ma su questo ancora molti fischiettano
Se ne parla poco ma corre molto veloce. E’ il carrello della spesa, ovvero il paniere simbolico che aggrega il food e i prodotti per la cura della persona/della casa e che costituisce uno degli elementi di monitoraggio dell’Istat sull’evoluzione dei prezzi al consumo. Gli ultimi dati riferiti al mese di giugno segnalano una palese anomalia: mentre l’indice generale dell’inflazione è cresciuto di un punto decimale arrivando a quota 1,7 per cento il carrello ha toccato i 3,1 punti percentuali con un incremento netto rispetto a solo un mese fa (segnava 2,7 per cento). La conclusione che se ne trae è che i beni del carrello corrono a una velocità quasi doppia rispetto all’indice generale e questa constatazione di per sé dovrebbe essere un tema su cui riflettere. Anche perché la corsa non è affatto terminata. Sarà un paradosso ma mentre i beni energetici nonostante le grandi incertezze del contesto geopolitico accentuano la flessione dei prezzi su base tendenziale non è così – anzi – per il food. Sia i beni non lavorati (i freschi) sia quelli lavorati (gli industriali) crescono oltre il 3 per cento. Ma del costo del gas per la spinta degli industriali (giusta) se ne parla molto, sull’aumento dei prezzi dell’alimentare tutti fischiettano e si girano dall’altra parte.
Eppure non stiamo parlando di una fiammata, visto che secondo dati fornitici dall’Istat dal 2019 a maggio 2025 l’indice dei prezzi al consumo è salito del 19 per cento mentre il carrello della spesa del 26,3 per cento. Si tratta, dunque, di un dato strutturale della nostra inflazione e con questo si spiega la semi-amnesia collettiva. Difficoltà di venirne a capo. L’amnesia però è due volte ingiustificata considerato che l’incremento dei prezzi dell’alimentare ha una ricaduta politico-sociale immediata perché parliamo degli acquisti a frequenza più alta soprattutto dei consumatori con i salari bassi e che frequentano meno la ristorazione esterna.
I beni alimentari si suddividono nelle due categorie dei freschi e degli industriali. I primi vedono salire i listini a causa della stagionalità, i secondi scattano all’insù per l’effetto a catena dei prezzi delle materie prime. Soprattutto olio, caffè, riso e cacao. Come spiega Roberto Sambuco, ex garante dei prezzi queste materie prime “sono diventate di fatto degli strumenti finanziari, basta un evento naturale negativo in uno dei paesi produttori e partono meccanismi speculativi che amplificano la portata dei riflessi sui prezzi”. Sambuco mette anche in evidenza come gli aumenti abbiamo degli effetti sulla dieta, cambiano la composizione del carrello della spesa e la sua articolazione. Ma non tutto nella catena di formazione dei prezzi può essere attribuito a cause esogene. La filiera agro-alimentare è un settore in cui la produttività cresce meno e di conseguenza non determina un taglio dei prezzi. I prezzi al ribasso sono tirati dai settori con innovazione oppure caratterizzati da pressione competitiva al loro interno. E’ così per l’informatica e le telecomunicazioni. O anche per i beni non alimentari che sono e saranno sotto pressione per l’eccesso di produzione cinese che arriverà sui nostri mercati. Nel food queste dinamiche non ci sono e di conseguenza la variazione dei prezzi vive di vita propria. E il motivo è semplice: la filiera agricola ha una verticalità lunghissima e inefficienze molto elevate, “non siamo molto lontani dall’agricoltura dei nostri nonni” chiosa Sambuco.
Ma quanto conta l’andamento del carrello della spesa sugli orientamenti politici dei consumatori mazziati? La risposta che viene dai sondaggisti è decisamente differente. Secondo le tabelle di Demopolis il caro-vita è addirittura in testa alle preoccupazioni degli italiani e qualcosa del genere ha scritto anche Alessandra Ghisleri sulla Stampa. Per l’Ipsos, invece, nell’agenda delle priorità degli italiani l’aumento dei prezzi è solo al quarto posto dopo occupazione, sanità e criminalità.