Cinema, teatro, parole. Dove va lo show del futuro? Parla Brian Selznick

“Le sale devono garantire un’esperienza unica, la condivisione di una stessa emozione con persone sconosciute”, ci dice il creatore di “Hugo Cabret” (adattato al cinema da Martin Scorsese). La settima arte è ben diversa dalle proiezioni impossibili in casa: “Pretende il buio, nessuna interruzione e un’immagine luminosa su uno schermo più grande degli spettatori”

Brian Selznick ha raggiunto il successo con “La straordinaria invenzione” di Hugo Cabret, adattato al cinema da Martin Scorsese. L’improvvisa popolarità ha preso in contropiede la critica, in difficoltà a catalogare il lavoro di un autore che aveva dichiarato: “Non si tratta esattamente di un romanzo, né di un testo illustrato, e neanche di un graphic novel, un folioscopio o addirittura un film, ma di una combinazione di tutte queste cose”. Come tutti i libri successivi, Hugo è composto da disegni che si alternano alle pagine scritte: secondo l’insegnamento di Maurice Sendak non si tratta di semplici illustrazioni, ma sviluppi narrativi che rivelano una grande conoscenza e passione per il linguaggio delle immagini. Non è un caso che uno dei protagonisti di Hugo sia George Melies, che per primo esaltò il ruolo della fantasia e della poesia nella settima arte. In seguito Wonderstuck è diventato un film di Todd Haynes e Big Tree è stato acquistato da Steven Spielberg, che lo produrrà con la regia di Hayao Miyazaki, mentre l’audio book è uscito con la voce narrante di Meryl Streep. Mentre il New York Times definiva Kaleidoscope un capolavoro, sono iniziate le prove di Hugo, che diverrà un musical di Broadway. A conoscerlo di persona colpisce immediatamente l’affabilità e un senso dell’umorismo che non sminuisce l’incanto che ama condividere con tutti i suoi interlocutori, a cominciare dall’entusiasmo per Roma, dove si trova per presentare Hugo nell’ambito del Cinema in Piazza.

Le sale cinematografiche sono in crisi: è qualcosa di irreversibile? “Le sale devono garantire un’esperienza unica: durante la pandemia gli spettatori si sono abituati alle eccellenti proiezioni possibili ormai a casa. Ma in quel caso si può parlare di film o di serie: il cinema pretende la condivisione di una stessa emozione con persone sconosciute, il buio in sala, nessuna interruzione e un’immagine luminosa su uno schermo più grande degli spettatori”. Qual è stato il più grande insegnamento di Maurice Sendak? “Lavoravo in una libreria per bambini e ho scoperto Nel paese dei mostri selvaggi, rendendomi immediatamente conto che si trattava di un capolavoro per come usa le parole, lo spazio bianco e i disegni. L’ho incontrato 15 anni dopo, ma ero troppo intimidito. Gli ho scritto una lettera e lui ha voluto vedere i miei libri: avevano avuto un discreto esito ma lui li stroncò dicendo che c’era un potenziale inespresso, salvando soltanto la qualità dei miei disegni. Devo a questa severità l’origine di Hugo e il complimento più importante che abbia mai ricevuto: “è il tuo libro che aspettavo da tempo”.

Un suo testo anomalo è Live Oak, basato su poesie di Walt Whitman. “Devo a Karen Karbiener, studiosa di Withman, se ho scoperto queste poesie in cui tratta esplicitamente relazioni omosessuali, che poi ha revisionato inserendole in Foglie d’erba: un’autocensura, dovuto probabilmente all’omofobia dell’epoca”. Come mai ha riscritto “Lo Schiaccianoci”? “Il testo originale è un grande spettacolo, ma si tratta di un bambino ricco che riceve doni bellissimi. Con Christopher Wheeldon abbiamo deciso di raccontare la storia attraverso gli occhi del figlio di poveri immigranti all’epoca della fiera di Chicago”. Run Away with me è il primo testo per young adult. “I miei libri riflettono il periodo della mia vita in cui li ho concepiti. Ora crescendo i protagonisti sono diventati più vecchi, ma sempre molto più giovani della mia età reale”. E’ ambientato a Roma. “Sono venuto qui la prima volta nel 1989 con un euro pass, e tornato durante la pandemia perché mio marito aveva vinto il Rome Prize. La città era deserta e tra gli altri vincitori c’erano esperti di architettura che ci hanno fatto scoprire meraviglie segrete. Un’esperienza irripetibile”. Lei si definisce uno scrittore o un artista? “Una persona che fa dei libri. Uso questo verbo perché quando li faccio apprendo come siano flessibili le storie e in quanti modi possano essere raccontate, non necessariamente con le parole”.

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