Attorno allo stato ebraico si muove un nuovo piano di normalizzazioni e gli Stati Uniti stanno facendo tutto il possibile per portarlo avanti. Senza gli alleati, l’Iran è sempre più solo
Tel Aviv. “Conclusa l’operazione Am Kelavi (Rising Lion) ed essendo l’Iran ormai completamente isolato, è ora necessario procedere con la normalizzazione tra Israele e Siria – ha dichiarato ieri l’inviato statunitense Tom Barrack – Il neopresidente siriano Ahmed al Sharaa è in cerca di pace tra i due paesi, e l’adesione da parte di Damasco porterà presto anche a quella di Beirut”. I segnali di un possibile accordo tra Siria e Israele entro la fine del 2025 sembrano sempre più visibili segnando, potenzialmente, una svolta storica nella diplomazia regionale. Il Foglio si è confrontato con alcuni esperti dell’area geografica interessata per capire le possibilità reali di questo avvicinamento. Secondo Anan Wahabi, ex ufficiale dell’esercito israeliano di origine drusa, esperto di terrorismo in Siria, “anche se la figura di al Sharaa, come leader, è ancora molto fragile e forse potrebbe rimanere presidente non ancora per molto, la Siria – specie dopo l’operazione militare contro la Repubblica islamica – è ormai pronta a intavolare una negoziazione con Israele”.
“Il ruolo di mediazione da parte degli Stati Uniti sarà fondamentale – sottolinea Wahabi – specie nel ripristinare l’ordine lungo il confine tra i due paesi, per poter così proseguire con la pacificazione dell’intera regione, come era previsto dagli Accordi di Abramo” firmati nel 2020 da Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco e poi interrotti, nel 2023, a seguito dell’attacco di Hamas il 7 ottobre.
Secondo il professor Yehuda Udi Blanga, del dipartimento di Studi mediorientali dell’Università Bar-Ilan, specializzato in strategia militare e in società e politica siriane, “la strada è in salita, sia perché all’inizio del mese l’intelligence turca avrebbe sventato il tentativo pianificato da una cellula dello Stato islamico di assassinare al Sharaa, sia per il recente attacco terroristico contro una chiesa a Damasco, tragedia che ha causato 25 vittime. In questo momento manca ancora la stabilità necessaria per permettere una normalizzazione tra i due paesi. Tuttavia, gli Stati Uniti stanno facendo il possibile per portare avanti il piano previsto fin dalla prima Amministrazione Trump. Talvolta, in diplomazia, anche il solo fatto di parlare pubblicamente di una progettualità politica fa sì che questa si realizzi in tempi molto più spediti rispetto alle realistiche tempistiche, specie al fine di consolidare l’alleanza tra firmatari cruciali e garantire l’isolamento definito di Teheran. Ormai tutti gli alleati iraniani sono stati neutralizzati e per questo anche il Libano potrebbe presto diventare uno dei prossimi paesi a unirsi al progetto di normalizzazione. Si tratta di un progetto di lungo periodo, ma Trump sta facendo il possibile per accelerarne i tempi e realizzarlo nel corso di questo suo secondo e ultimo mandato. Sa che solo una pacificazione della regione può assicurare una risoluzione duratura del conflitto tra israeliani e palestinesi la creazione di uno stato palestinese: condizione necessaria perché anche Riad si sieda al tavolo dei negoziati, in modo da consolidare il ruolo egemonico dell’Arabia Saudita in medio oriente, determinando la marginalizzazione definitiva del regime”.
Asher Fredman, direttore esecutivo del Misgav Institute for National Security, ha ricoperto posizioni di rilievo nel ministero degli Affari strategici ed è esperto di Accordi di Abramo, di cooperazione regionale e delle relazioni tra Stati Uniti e Israele. Nel valutare la situazione, dice: “In questo momento la Siria deve ancora ricostruirsi sia politicamente sia economicamente ma, perché ciò avvenga, un’apertura al mercato israeliano e, più in generale, a un nuovo assetto regionale maggiormente esposto ai mercati occidentali, potrebbe fare da effetto volano e generare benefici anche nella riconfigurazione politica della Siria post Assad. Non dimentichiamoci – conclude Fredman – che, per secoli, Gerusalemme e Damasco sono stati partner commerciali, così come molti israeliani sono di origine siriana. Lo stesso vale per l’asse Gerusalemme – Beirut e per i numerosi israeliani di origine libanese. Per questo, far partecipare questi due paesi agli Accordi sarebbe cruciale ai fini di ristabilire un ordine regionale. Non sarei stupito se questi due partner strategici siglassero l’intesa prima ancora dell’Arabia Saudita, la cui adesione è necessaria soprattutto sul piano simbolico. Nel breve termine, per promettere una ristrutturazione sia infrastrutturale sia politica di Gaza, una volta neutralizzato Hamas. E infine, nel lungo termine, per garantire la stabilità di un futuro medio oriente post ayatollah”.