Grosso guaio a City Life: dal crollo dei Ferragnez al crollo dell’insegna Generali

Ma che succede a Milano? Linate in titl, sito del Corriere in crash. E poi il crollo dell’insegna rossa della compagnia di assicurazioni. Il tutto esattamente a dieci anni dall’idea di città arrembante e scintillante favorita da Expo

Ma che succede a Milano? Nel weekend, paralisi del traffico aereo nel Nord Italia, Linate bloccata (e quel crescente popolo che ormai torna a scegliere l’aereo, devastato). Treni, della speranza (sempre più fioca: ritardi micidiali, ingorghi, madonne). Ieri, va in crash pure il sito del Corriere della Sera, nel pomeriggio. Ma il lunedì nero milanese è iniziato col crollo della rossa insegna delle Generali, sul grattacielo di Zaha Hadid a City Life. Alle sei e mezzo di mattina, per fortuna senza feriti: però che segno, che simbolo, che presagio, signora mia. Volendo coglierli, questi segnali: il crash arriva proprio a dieci anni dal rito che rilanciò quella città grigiastra e secondaria che era all’epoca Milano, l’Expo del 2015, gestito dall’allora commissario Beppe Sala, poi sindaco e testimonial della nuova Milano arrembante e scintillante.

I grattacieli di Porta Nuova e City Life erano, nello scetticismo generale, destinati a diventare il simbolo della città che riprendeva il suo posto in Italia. E così è stato. In realtà son due cose diverse, City Life nasce nel 2004; oltre vent’anni fa partiva la gara per il nuovo quartiere che comprendeva i grattacieli anzi torri, “Il dritto”, disegnato da Isozaki, alto 209 metri, attualmente il grattacielo più alto d’Italia. Poi “il curvo” la torre Libeskind, solo 175 metri. Infine la torre Hadid, quella che ci interessa, stortignaccola e in torsione, 177 metri, detta “lo storto”.

Oltre ai grattacieli sorsero però le residenze, che sono diventate altrettanto famose grazie alla dinastia Ferragnez che qui si era installata, e che tanta parte ha avuto nella mitopoiesi della nuova Milano. Anche la dinastia, ora, ce la siamo giocata (e noi l’abbiamo sempre detto: a portare sfiga è stata la hybris immobiliare, il cambio di destinazione dal vecchio al nuovo appartamento, sempre e solo dentro anzi “in” City Life, perché evidentemente quando uno si abitua a quel – scusate il milanenglish – lifestyle, poi mica può tornare al condominio normale coi panni stesi). Ma qui si voleva la dimora ancora più grande e opulenta, con la sceicca, all’epoca regnante, che si aggirava per casa dicendo cose tipo “ho tre forni ma non so come usarli”, e lo sceicco consorte che si perdeva nelle centomila stanze e corridoi, tutto in diretta). Dal vecchio appartamento nel gruppone di palazzine anzi palazzone di Zaha Hadid si passava a quello ancora più massiccio by Libeskind (per chi abita di fronte, queste palazzone sembrano le grandi navi a Venezia).

Fatale (altro segno) fu il pandoro, non panettone. Ma tra i residenti/crocieristi della nave, oltre ai Ferragni spicca anche Federico Marchetti, il fondatore di Yoox Net-A-Porter, con un atticone si dice pagato una decina di milioni, e poi ci stanno i calciatori, essendo il design milanese/ emiratino come si conviene a questa clientela: mezza Inter (Lautaro Martinez, l’ex capitano Samir Handanovic e i centrocampisti Nicolò Barella e Roberto Gagliardini oggi al Monza), e poi Amadeus con la moglie, e poi ancora Michelle Hunziker e Federica Panicucci.

Chissà che assemblee: ma l’amministratore di condominio di City Life, Luca Ruffino, si suicidò due anni fa, altro tragico segnale. Ovviamente essendo City Life e non un palazzo qualsiasi, non era un amministratore qualsiasi. Ruffino aveva fondato la Sif Italia e gestiva oltre a Ferragniland anche Milano 3. Siccome era amante del rischio, era anche entrato nella Visibilia di Daniela Santanché, diventandone ad e presidente. Come negli stabili di noi umani, a City Life ci sono poi invece dei piccoli problemi manutentivi: i rivestimenti di legno che si sono seccati, con schiarimento delle tinte, e l’invasione di topi l’anno scorso che fece infuriare i residenti. Poi, tutti questi speciali palazzi subiscono infestazioni della natura, come se si ribellasse al lusso artificiale del bastimento: il Bosco Verticale fu invaso dalle coccinelle, per esempio. Rimandi omerici per il palazzo di Libeskind che era concepito con una superficie vetraria unica, un enorme specchio ustorio che terrorizzò i progettisti e il comune (ancora si ricordano le tapparelle dei palazzi vicini sciolte dai riflessi del Palazzo Lombardia).



Gli archistar del resto sono esseri soprannaturali che tutti amiamo odiare; e molti oggi daranno la colpa a lei, alla curvacea (nell’opera, non nella vita) Zaha Hadid, architetta anglo irachena, da non confondere con le modelle Gigi e Bella, spesso a Milano per le sfilate. Ma in realtà la lettera scarlatta delle Generali appoggiata sul fatale torrione non è opera sua, venne infatti issata un anno e mezzo dopo la realizzazione del manufatto. Molto criticata, la scelta, alcuni dissero che il grattacielo “sembra una pizzeria”, ma tant’è. Costoro ritengono la scritta una cafonata, che sul Pirellone per esempio non c’è mai stata, però andando indietro nel tempo c’erano fior di pubblicità appese (pure di materassini e palloni Pirelli, che lo rendevano simile a un Aquafan negli anni del boom). E del resto nella copia newyorchese del Pirellone, il grattacielo Pan Am, l’insegna c’era eccome. Insieme all’eliporto, che doveva stare anche sulla torre Generali, ma fu scartato. La scritta poi venne issata sopra, cosa che destò scalpore, perchè gli uffici arrivano fino all’ultimo piano, raccontano al Foglio, e dunque metterla su una parete del grattacielo ne avrebbe oscurato le finestre.

Però i radical chic che criticavano City Life forse nel frattempo si sono ravveduti: sono gli stessi che frequentano la succursale del cinema Anteo qui nello shopping mall, magari di nascosto. E gli esperti: c’è poi la scritta (e che scritta) anche sulle Trump Tower, d’accordo, ma non è la reference (sempre per usare il milanenglish) degli edifici chic; allora c’è anche sul New York Times by Renzo Piano; l’Eni a Roma all’Eur ce l’ha la scritta ma piccola; mentre a Milano non c’è il marchio Prada sulla torre Prada. Insomma, questione controversa, vaste programme. Comunque la scritta scarlatta ora è stata messa in sicurezza e verrà rimossa, e si aprirà il dibbbattito.

Altra questione, le cause: sarebbe il calore, alla base del cedimento strutturale, secondo i Vigili del Fuoco (ma allora a Dubai, il Burj Khalifa alto un chilometro, dovrebbe fondersi tutti i giorni? Forse per questo non ha scritte, del resto si vedrebbero solo dall’aereo o dai droni israeliani o iraniani). Non c’è stato neanche il terremoto, a causare il crollo, notano sui social i napoletani (invece colpiti dal sisma) inutilmente crudeli coi milanesi perché, diciamolo, stare a Milano d’estate non è proprio piacevole, che si stia in villa o grattacielo, come diceva Elvira-Franca Valeri in “Il vedovo”, storia di romani a Milano. E nella capitale ieri circolava la battuta: “a Milano ormai servono i costruttori romani”. Carissimo Caltagirone, cosa fal a Milan con stu calt, verrebbe da dire, citando quel gran film, perché mentre crolla l’insegna rossa c’è tutta la sottotrama gialla della conquista dei romani su Generali e Mediobanca. Però, notano i più accorti, a voler essere filologici Caltagirone è siciliano, com’era siciliano il fondatore del progetto City Life, l’indimenticato Salvatore Ligresti (e come era siciliano pure il gran capo di Mediobanca, Enrico Cuccia). E i più pratici: comunque non s’è fatto male nessuno, questo è l’importante. E, essendo Generali, saran sicuramente assicurati, vabbè.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).

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