Dopo Abodi che si schiera e perde le elezioni del Coni, Ciriani che propone la settimana parlamentare cortissima, adesso ci sono i casi di Piantedosi e Nordio all’assalto della Cassazione. Intanto la premier pensa alla geopolitica: sicura la presenza di Merz a Roma per la conferenza sull’Ucraina, in forse Macron
Si schierano sulle elezioni del Coni e le perdono, legittimano un centro studi della Cassazione che non è la Cassazione, propongono settimane parlamentari cortissime. I ministri di Giorgia Meloni fanno e disfano, a volte troppo, non centrando bene il focus. E così la premier si ritrova a sfogarsi in privato su certe uscite mosse dai suoi che sembrano complicarle le giornate, in un perfetto gioco delle parti certo. L’ultimo caso è quello delle critiche dei ministri Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Tommaso Foti alla relazione degli uffici del Massimario, molto dura sul decreto Sicurezza e sull’operazione Albania. “Scricchiolante”, “ideologica”, “roba da restare increduli”. Meloni non sarebbe intervenuta, fa sapere ora a posteriori.
Perché la polemica di carta, oltre a ringalluzzire le opposizioni su due provvedimenti molto contestati, ha fatto scattare anche un piccolo campanello al Quirinale. Subito pronto a chiedere al governo, in maniera gentile e senza note ufficiali, di abbassare i toni. E cioè le critiche verso questo organismo della Cassazione. Il ragionamento di Meloni è proprio questo: perché i ministri hanno legittimato le critiche di un centro studi nei confronti di provvedimenti che non sono stati bocciati dal Quirinale e nemmeno dalla Corte costituzionale? Potevano evitarlo. Bastava metterci un po’ di sale politico in questa faccenda. Ovviamente la premier ieri alla Camera, in occasione della cerimonia in memoria di Paolo Borsellino con l’ostensione della borsa del magistrato ucciso dalla mafia, non ha minimamente accennato ad alcun tipo di polemica. Era seduta in prima fila, accanto al presidente del Senato Ignazio La Russa (con il quale si è fermata poi per uno scambio di battute e un bicchiere d’acqua nella stanza del governo ), poco distante dal capo dello stato Sergio Mattarella. La dinamica di questa faccenda racconta uno spaccato della squadra di governo: per Meloni attaccare da un posizione di forza, come il Viminale e largo Arenula, significa legittimare e rendere così la critica più alta di quella che è. Perché appunto, sia il decreto Sicurezza sia i provvedimenti sull’Albania, sono stati vidimati dal Quirinale. Meloni negli ultimi mesi si è data un profilo ormai ben strutturato: è molto attiva sulla politica estera e sulle grandi questioni geopolitiche, mentre sembra intervenire, almeno pubblicamente, molto poco sulle dinamiche interne, se non in Parlamento. Per questo ci sarebbero i ministri che nell’ultima settimana, però, non hanno portato grandi successi a casa. Andrea Abodi, titolare dello Sport, si è schierato e ha perso le elezioni del Coni, puntando sul candidato uscito sconfitto (Luca Pancalli), tanto da venire redarguito in un vertice ristretto dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, come svelato dal Foglio. A Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento, è venuta la pensata di concentrare i lavori d’Aula fino al giovedì, lasciando il venerdì libero agli onorevoli (ideuzza, subito rimangiata, corretta e rivista dal diretto interessato, e comunque non proprio popolarissima fuori dal Palazzo). Poi infine questa polemica di carta sulla Cassazione, che tale non è nell’accezione tecnica del terzo grado insindacabile, ma che va considerata per quello che è: “Un centro studi”. Insomma, per la premier certe uscite andrebbero ponderate e misurate, o meglio calcolate secondo l’effetto che producono. Discorso differente invece sono le sortite di questi giorni degli esponenti di Fratelli d’Italia sempre contro i giudizi negativi sul decreto Sicurezza, a partire da quelle del capogruppo Galeazzo Bignami, che rientrano in una fattispecie chiara: il partito può spingersi ad attaccare per rispondere alle opposizioni, i ministri se di peso è meglio che ci pensino due volte per “non alzare troppo la palla”. Tutte le riflessioni che ieri sera circolavano a Palazzo Chigi dove la testa è già alla conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina, in programma il 10 e l’11 luglio. Data per scontata (salvo colpi di scena clamorosi) la presenza del presidente americano Donald Trump, l’attenzione del governo e della Farnesina è spostata sui capi di stato e di governo europei. Emmanuel Macron è in forse perché dall’8 al 10 il presidente francese ha una visita nel Regno Unito programmata da tempo. Non è escluso che alla fine riesca a venire comunque a Roma per le conclusioni, al suo posto è sicura la presenza del ministro degli esteri Jean-Noël Barrot. Al contrario, nella lista di “chi ci sarà” che va componendosi in questi giorni, è dato per certo l’arrivo del cancelliere tedesco Friedrich Merz, a testimoniare un’intesa sempre più crescente.