“Ci eravamo resi conto da tempo che il plafond generale si alzava e non capivamo perché”. Da lì l’individuazione di tre “falle” da sottoporre al ministero “che sta intervenendo”. Il caso del sedicente regista (e presunto colpevole dei due omicidi di Villa Pamphilj) e i nuovi controlli per le produzioni estere
È il giorno in cui il ministero della Cultura consegna alla procura di Roma la documentazione relativa al Tax credit ottenuto da Rexal Ford alias Francis Kauffmann, l’americano sedicente regista accusato dei due omicidi di Villa Pamphilj. Ed è anche il giorno successivo al momento in cui il ministro della Cultura Alessandro Giuli ha illustrato le nuove misure in materia di Tax credit, misure a cui ieri si sono aggiunti due decreti direttoriali che — sia per le produzioni nazionali sia per quelle internazionali — vanno in direzione di un’ulteriore stretta. Tra i produttori, Riccardo Tozzi pensa “non ci fosse certo bisogno dell’orribile caso Kauffmann per accorgersi che le maglie erano troppo larghe”.
“Ci eravamo resi conto da tempo”, dice Tozzi, “che il plafond generale del Tax credit si alzava e si alzava, e non capivamo bene perché. Sapevamo insomma che – dato il numero di film che di solito si fanno e di serie tv che di solito si fanno – il fabbisogno del Tax credit sarebbe stato di ‘x’ milioni. Negli ultimi anni, invece, le valutazioni sono apparse sbagliate, e di molto”. Da lì l’individuazione, dice Tozzi, di tre “falle”: “Prima falla: operazioni fraudolente e proliferare di iniziative dilettantesche. Seconda falla: presenza di molti ‘Ufo’ nell’elenco dei film con accesso al Tax credit, oggetti non bene identificati. E non generalizzo: non è che perché un film è piccolo debba essere per forza un Ufo. Al contrario, ci sono piccoli film molto professionali. Terza falla: in alcuni casi, un sorprendente aumento dei budget. Abbiamo detto allora al ministero: servono più controlli, bisogna capire come tenere fuori dalla porta l’illegalità e le iniziative non professionali”.
Il decreto presentato da Giuli, per Tozzi, “è già un buon passo avanti, ma crediamo se ne possano fare altri”. Quali? “Due sono i canali di finanziamento previsti dalla legge. Uno di tipo industriale, il Tax credit, l’altro di tipo culturale, i fondi selettivi. Fondi che ammontano a un’ottantina di milioni di euro circa. Non poco. Ecco, il canale industriale deve funzionare secondo meccanismi di mercato. Se vuoi produrre una serie tv, devi avere un accordo con un servizio media nazionale. Non basta Youtube. Se hai un accordo con un media nazionale – Rai, Mediaset, Netflix, Sky, per citarne alcuni – l’operazione sicuramente è professionale, di mercato e corretta. Una grande azienda non si mette a fare impicci. Per il cinema, invece, dovresti avere una parte del costo del film finanziato da un operatore di mercato: un distributore, una tv, un venditore estero”. Selezione naturale? “Un operatore sul mercato”, dice Tozzi, “non mette soldi per fare un film finto. Dopodiché ci può essere il film sbagliato, l’errore. Cosa diversa da un titolo che non potrebbe interessare mai a nessuno da nessuna parte”.
Sul lato culturale, per le opere prime e seconde, i film difficili e le startup, dice Tozzi, “la responsabilità se la prende la commissione per i fondi selettivi, persone in carne e ossa. E i controlli ci sono: devi consegnare la copia e la copia viene visionata. Non si può rivendicare il diritto al Tax credit in ogni caso e a ogni costo”. A chi si domanda come sia stato possibile un caso Kauffmann, Tozzi risponde che si deve risalire ai primi anni di introduzione della misura. “Si pensava a grandi produzioni estere: Mel Gibson che viene a girare in Italia, ‘White Lotus’ girato in Sicilia. A nessuno era venuto in mente che anche i piccoli imbroglioni possono venire a girare qui. Ma il decreto direttoriale di ieri riguarda questi casi”. Infine, nella lista di provvedimenti da prendere, Tozzi metterebbe “una forma di contenimento costi per attori e registi. Non è vietato pagarli qualsiasi cifra, sia chiaro, ma il tax credit deve coprire solo una parte, una cifra ragionevole. E poi: sono d’accordo con il collega Pietro Valsecchi che, intervistato ieri da questo giornale, dice: per come è stato applicato negli ultimi anni, il Tax credit al 40 per cento, frutto del Covid, è davvero troppo alto”. Su una cosa Tozzi raccomanda attenzione: “Le piccole imprese cinematografiche hanno un problema di accesso al credito. Se il Tax credit viene pagato in ritardo o se ci sono lunghi tempi di attesa rispetto al via libera della commissione, la piccola impresa resta paralizzata”. Per scongiurare improvvisazioni e truffe, si sta pensando alla creazione di un albo professionale. “Con Anica e Aba”, dice Tozzi, “vorremmo definire le caratteristiche professionali del produttore, come azienda e come persona. Non vogliamo mettere muri, ma introdurre una minima garanzia di professionalità”.