Il circoletto antifa e anticapitalista che contesta Bezos ha un problema non con Amazon ma con la libertà

L’odio per mister Amazon e per il suo matrimonio veneziano con Lauren Sánchez ha una sua storia radicata nel tempo. È un odio antico, un odio di sinistra, che demonizza il capitalismo e allontana dalla nostra visuale la verità: cioè che dove c’è libertà ci sono imprenditori di successo

Manifestano tenendo stretto lo smartphone tra le mani. Scrivono post indignati su server americani. Organizzano i propri incontri attraverso app californiane. Combattono contro la dittatura degli oligarchi digitali utilizzando le piattaforme di cui l’azienda guidata dall’uomo che contestano offre loro il cloud per salvare i propri dati. Il matrimonio veneziano tra Jeff Bezos e Lauren Sánchez – molti auguri – ha offerto infiniti spunti di riflessione per ragionare sulle nuove e suggestive frontiere dell’antifascismo antipauperista, che ha scelto di trasformare, con il timbrino d’oro dell’Associazione nazionale dei partigiani, le nozze del numero uno di Amazon nel simbolo di tutto ciò che il salottino conformista del perbenismo anticapitalista dovrebbe combattere nel mondo. Si potrebbe suggerire, ai novelli partigiani della libertà preoccupati più delle finanze di Bezos che delle milizie di Putin, che la presenza di un Bezos in Italia, e a Venezia, dovrebbe essere trattata come una manna dal cielo, non come una tempesta da scampare. Un dato. L’unico spazio pubblico affittato da Bezos a Venezia – Bezos che intanto ha firmato un assegno da 3 milioni a progetti di tutela ambientale e restauri locali, chiedendo agli invitati di trasformare i regali di nozze in offerte a enti come Unesco-Venezia, Corila e Save Venice – è l’Arsenale. L’Arsenale registra ricavi pari a 1,2 milioni all’anno per eventi privati. Bezos, da solo, spenderà 200 mila solo per l’affitto dell’Arsenale, e spenderà un milione per organizzare la festa, dando lavoro a circa cento maestranze.

Chi sono i nemici dei lavoratori? L’odio per Amazon, in verità, e per il suo capo, odio portato avanti spesso con gli stessi strumenti tecnologici prodotti dagli oligarchi contestati dalla nuova internazionale degli indignados, non è nuovo, non è una novità, ma ha una sua storia radicata nel tempo. Una storia di sinistra, e ricorderete quando anni fa la sindaca socialista di Parigi, Anne Hidalgo, propose di boicottare Amazon a Natale, proposta poi prontamente ripresa da Salvini. Una storia di odio populistico di destra, e ricorderete quante battaglie Trump, nel suo primo giro alla Casa Bianca, combatté contro Bezos, raffigurando il capo di Amazon, prima dell’abbraccio opportunistico costruito nella nuova stagione trumpiana alla Casa Bianca, come l’incarnazione perfetta dell’élite liberal-tecnocratica da disprezzare e umiliare. La storia è sempre la stessa. Si dice che Amazon distrugge gli artigiani e ci si dimentica di ricordare che invece spesso Amazon gli artigiani li salva dandogli più opportunità per competere nel mondo. Si dice che Amazon paga poche tasse ma ci si dimentica di ricordare che se il problema è che il gettito prodotto dalle Big Tech non resta tutto nei paesi dove avvengono i consumi la soluzione non è tassare una singola azienda ma è riformare il sistema fiscale internazionale. Si dice che Amazon ha creato un monopolio guidato da un oligarca che si vuole comprare il mondo ma chi critica Bezos per i soldi che ha messo insieme, come se fosse un reato essere ricchi, dimentica di ricordare i milioni di posti di lavoro creati da Amazon, dimentica di ricordare come Amazon abbia reso accessibili beni e servizi a tutti. Ci si può girare attorno quanto si vuole, anche in questo weekend di feste veneziane, ma il punto è sempre lo stesso. L’odio per Bezos è un odio che riguarda un tarlo presente nelle nostre democrazie. Ed è un odio che demonizzando il capitalismo allontana dalla nostra visuale una verità: dove vi è libertà, esistono gli imprenditori di successo, che possono arrivare persino a creare monopoli, dove non c’è libertà gli unici monopoli possibili sono quelli di stato, ma misteriosamente l’internazionale degli antifa dovendo scegliere tra la lotta contro i simboli della libertà e la lotta contro i nemici della libertà riescono sempre a sedersi dalla parte sbagliata: ma solo per cialtroneria, non perché tutti gli altri posti erano occupati.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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