Trump scolpito nella pietra? Ma il punto non è mai stato il merito del singolo presidente

Prima della battuta dell’anchorman Will Cain, l’idea di scolpire il tycoon sul monte Rushmore circolava in rete della cerimonia di insediamento, per poi finire depositata al Congresso come proposta di legge. Ma per passare alla storia ci vuole parecchio tempo, anche se oggi siamo convinti che bastino le “incredibili ventiquattr’ore”

L’attuale senso della storia emerge dalla boutade di Will Cain, anchorman di Fox News, che ha lanciato l’idea di scolpire la faccia di Donald Trump sul monte Rushmore. In realtà, l’idea circola sulla rete destrorsa americana almeno dai tempi della cerimonia di insediamento, tirata in ballo di tanto in tanto per vivacizzare i talk-show mentre si arenano oppure per creare spezzoni di video che possano diventare virali su internet. Poi, siccome la vita imita la cattiva tv, a fine gennaio è stata davvero depositata in Congresso una proposta di legge per aggiungere il ritratto monumentale del presidente in carica, roba che nemmeno in Corea del Nord.

La novità dell’intervento di Will Cain sta però nella sua strategia argomentativa. Ha detto: “In questo momento, il presidente Trump è a cena in Olanda, intento a implorare ancora una volta la pace in Ucraina e a indurre le nazioni Nato a elevare la soglia minima di finanziamenti alla difesa. Tutto ciò dopo le incredibili ventiquattr’ore in cui, nonostante i dubbi e nonostante due nazioni strenuamente in guerra, ha portato ancora una volta la pace in medio oriente. Non stiamo agitando pompon come cheerleader; a questo punto, non è più di parte chiedersi se questa presidenza non meriti di venire associata a quelle di chi è stato scolpito nelle montagne. A questo punto, la presidenza di Donald Trump non è degna del monte Rushmore?”.

Per rispondere a questa domanda, può soccorrerci un po’ di cronologia. I presidenti ritratti sul monte Rushmore sono George Washington, Thomas Jefferson, Abraham Lincoln e Teddy Roosevelt, attivi in un arco che va dal 1789 al 1909. Il monumentale progetto dello scultore Gutzon Borglum venne tuttavia ideato nel 1927 e portato a termine nel 1941, quando tutti gli interessati erano sottoterra. Borglum selezionò i presidenti che riteneva incarnassero quattro svolte decisive della storia americana: la guerra contro gli inglesi (condotta da Washington), la Dichiarazione d’indipendenza (stilata da Jefferson), la Guerra di secessione (vinta da Lincoln) e lo sviluppo economico (favorito da Teddy Roosevelt). Lo scultore aveva dunque inteso eternare sul monte Rushmore non tanto delle persone quanto i cardini del progresso americano e, per farlo, aveva posto un lasso piuttosto ampio fra il proprio lavoro e gli eventi cui si riferiva.

La parete rocciosa in Sud Dakota ha ancora spazio, per quanto ne vada valutata la tenuta materiale: così, a occhio, potrebbero starci altri tre o quattro presidenti. Di per sé, un Trump in più o in meno (o magari due: uno per mandato, sorridente il primo, truce il secondo) non creerebbe problemi logistici. E’ tuttavia necessario domandarsi perché nel frattempo non siano state aggiunte altre facce sull’area disponibile, e ancor prima perché Borglum non avesse inserito altri presidenti nel suo progetto: ad esempio Woodrow Wilson, che aveva vinto la Prima guerra mondiale, o Franklin Delano Roosevelt, che aveva tirato fuori gli Usa dalla crisi economica. In seguito, ci sarebbero stati bene se non altro Kennedy e Reagan, come diverse incarnazioni dello stesso ideale americano che il monte Rushmore mirava a rendere eterno. Inoltre, nel 1999, il Congresso ha rigettato la proposta di aggiungere un quinto presidente alla parete rocciosa: proprio Reagan, la cui memoria fu risarcita nel 2003, intitolandogli un’intera montagna nel New Hampshire.

La storia, dunque. Il monte Rushmore è diventato celebre perché ha cristallizzato un sentimento condiviso da più o meno tutta la nazione: ciò non ha tanto a che fare con i risultati concreti conseguiti da una presidenza; altrimenti, Borglum uno strapuntino per Wilson e F.D. Roosevelt l’avrebbe trovato. Afferisce piuttosto al consolidamento di un ideale che guida la nazione nel proprio progresso, secondo un procedimento che richiede decenni o addirittura secoli. Non è questione di essere pro o anti Trump: per passare alla storia ci vuole parecchio tempo, anche se oggi siamo tutti convinti che bastino le “incredibili ventiquattr’ore”.

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