La segretaria del Partito democratico, durante la riunione di segreteria di domenica sera, ha avanzato senza preavviso l’opzione nucleare: “Molliamo la presidente della Commissione europea”
Bruxelles. Schlein arriva in Belgio e porta con sé una ricetta per risollevare il gruppo socialista europeo dalla sua crisi d’identità: l’euro-opposizione. In casa Pse, d’altronde, la tensione è alta: da mesi i popolari fanno sponda con la destra conservatrice a guida meloniana e con i sovranisti di Salvini, Orbán e Le Pen per sgretolare, pezzo dopo pezzo, il Green Deal e più in generale il lavoro della precedente legislatura europea. Fino a oggi socialisti e liberali si erano limitati a puntare il dito contro “il cattivo maestro” Manfred Weber, leader del Ppe, evitando di chiamare in causa Ursula von der Leyen. Ma la situazione è rapidamente cambiata la settimana scorsa, quando la Commissione ha annunciato la volontà di ritirare la direttiva Green Claim a un giorno dal negoziato: un intervento istituzionale violento e scomposto, che non poteva arrivare se non dal piano più alto di Palazzo Berlaymont.
Nei gruppi socialisti e liberali a Bruxelles è esplosa la rabbia: “È stato varcato un limite mai raggiunto prima”, ha commentato la dirigenza socialista. “Ora è necessario fare qualcosa davvero: la maggioranza europeista in sostegno di von der Leyen è ufficialmente in crisi”, hanno aggiunto i liberali. Da destra non hanno esitato a mettere il dito nella piaga: “Sul nervosismo di Socialisti e Liberali all’Eurocamera posso parafrasare Humphrey Bogart: ‘È la democrazia, bellezza’. C’è una maggioranza parlamentare che attualmente ritiene necessario ritirare quella direttiva ed ha espresso la propria volontà”, spiega il copresidente di Ecr Nicola Procaccini.
E proprio mentre sotto al cielo socialista regnava la confusione, Schlein, durante la riunione di segreteria di domenica sera, ha avanzato senza preavviso l’opzione nucleare: “Molliamo von der Leyen”. La voglia di rompere con Ursula, nel gruppo socialista, d’altronde è diffusa: “Da mesi ci stiamo facendo cuocere lentamente senza riuscire a imporci”, spiega un dirigente socialista che insiste: “Questa volta dobbiamo trovare il modo di farle davvero paura, o per noi si mette male”. Da Bruxelles Schlein sente odore di sangue e alza il tiro: “I nostri voti non sono garantiti, e vi assicuro che i nostri voti contano”, attacca la segretaria a margine della summer school Pd organizzata dai dem a pochi passi dal Parlamento europeo. “Il nostro gruppo in questo momento è fortemente critico nei confronti di questa Commissione, più tardi parleremo di quale strategia adottare”.
A puntare i piedi, però, ci sono diverse delegazioni, ma principalmente i socialisti tedeschi della Spd, al momento impegnati in un governo di coalizione coi popolari a Berlino, e quelli danesi, di radice molto più moderata. Ago della bilancia nella famiglia del Pse rimangono, come al solito, gli spagnoli, unico partito socialista alla guida di un grande paese.
La leadership della delegazione del Psoe all’Eurocamera però inizia a vacillare. Molti eurodeputati socialisti — tra cui molti dem — rumoreggiano nei corridoi contro la gestione della spagnola Iratxe García Pérez, e soprattutto contro la strategia negoziale dell’autunno scorso, quando il gruppo ha sostanzialmente ingoiato tutti gli strappi del Ppe solo per portare a casa l’obiettivo di Madrid: la vicepresidenza della Commissione Ue alla spagnola Teresa Ribera. Ufficialmente, però, Sánchez rimane l’eroe della giornata, e Schlein infatti lo cita ripetutamente, ieri, ringraziandolo per la sua resistenza all’aumento della spesa per la difesa al vertice Nato de L’Aja, contrapponendolo a una Meloni “incapace di dire di no a Trump”. E proprio sul riarmo tornano gli attacchi a von der Leyen e Meloni, ormai sempre più appaiate nel messaggio schleiniano e nella sua strategia di euro-opposizione.
L’ipotesi di un Pd all’opposizione a Bruxelles intanto galvanizza gli eurodeputati dem fedeli alla segreteria, come Corrado, Strada e Tarquinio, i cui voti in sostegno alla Commissione sono stati estorti solo per fedeltà nei confronti della segreteria, ma che in realtà non vedono l’ora di dare il benservito alla Commissione e vestire i panni, ben più rodati, dell’opposizione. Molto preoccupati invece i riformisti del Pd: la minoranza dem, infatti, detiene tutti i ruoli istituzionali — presidenze di commissioni o vicepresidenze del Parlamento europeo — tutti ruoli destinati a saltare se i dem dovessero uscire dalla maggioranza. Coincidenza che, a voler essere maliziosi, potrebbe non essere tale.