Meloni lancia l’allarme sui russi in Libia, ma il suo vero timore è un altro: “Migranti, migranti, migranti”

A poche centinaia di chilometri dall’Italia, i soldati di Putin hanno trovato un altro luogo da dove minacciare l’Europa. Le parole della premier in Parlamento per trovare il modo di farsi ascoltare dai partner europei con gli sbarchi che tornano ad aumentare

Si dice che che ultimamente Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron abbiano trovato un “terreno comune” inaspettato. La minaccia di un nemico condiviso e sempre più forte al di là del Mediterraneo, ovvero la Russia di Vladimir Putin, starebbe catalizzando le preoccupazioni di Italia e Francia fino a spingerle a superare le rispettive, storiche divisioni sul dossier libico. “C’è Trump alla Casa Bianca che fa troppe concessioni a Putin – dice Jalel Harchaoui, esperto di Libia al Royal United Services Institute di Londra – Gli europei si sentono abbandonati e ora dicono: il lupo cattivo, i russi, sono arrivati in Libia: dobbiamo agire insieme”. Qualcuno si è spinto a parlare di un sorprendente nuovo “asse tra Roma e Parigi” in funzione anti russa in Libia. Aspettative eccessive: “Forse ai francesi sono arrivati memo sbagliati – ironizza al Foglio un funzionario di Bruxelles – Basta guardare gli sviluppi più recenti: al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di due giorni fa e alla Conferenza di Berlino sulla Libia della settimana scorsa, italiani e francesi hanno detto cose contrarie gli uni rispetto agli altri. L’Eliseo vuole sciogliere il governo di unità nazionale di Tripoli, il che significherebbe guerra, gli italiani no. Magari in privato Macron e Meloni hanno usato dei toni concilianti tra loro, questo non possiamo saperlo, ma sul campo non risultano convergenze di alcun tipo”.

Asse o meno, di recente una notizia ha destato l’interesse di molte cancellerie europee. Alla fine di maggio, un lancio di Agenzia Nova ha riferito che “la Russia vuole installare sistemi missilistici nella base militare di Sebha, capoluogo del Fezzan libico controllato dal generale Khalifa Haftar, per puntarli contro l’Europa”. Di questi missili “a medio e lungo raggio” non c’è traccia ancora. “Non esistono immagini satellitari che possano confermarlo”, confessa al Foglio un esperto di Osint, che lavora sull’analisi dei dati open source. Eppure, i russi in Libia ci sono eccome, e non da ieri.

Dalla caduta del regime di Bashar el Assad in Siria, lo scorso dicembre, il Cremlino si è messo alla ricerca di un’alternativa che gli permettesse di mantenere un accesso al Mediterraneo e all’Africa. L’ha trovata in Libia, dove negli ultimi sei mesi si sono dirette decine di aerei cargo Antonov carichi di armi, uomini e blindati spostati dalla Siria, dove in teoria vige un embargo delle Nazioni Unite che, di fatto, è violato quasi quotidianamente da molti, non solo dai russi. Tobruk è lo scalo prediletto per le navi russe nel paese. Poi ci sono le basi aeree, interessate da intensi lavori di allargamento e adeguamento negli ultimi mesi, come dimostrano molte foto satellitari. Si tratta di al Khadim (vicino a Bengasi), Ghardabiya (a Sirte), Jufra, Brak el Shati, Maatan as Sarra, Tamanhint, nel deserto che circonda Sebha. A sud, nel Sahel, gli African Corps del Cremlino usano queste teste di ponte per proiettarsi verso la cintura di paesi che, attorno alla Libia, accolgono i soldati russi – Mali, Ciad, Niger, Burkina Faso, Sudan, Repubblica centrafricana e non solo. Non si sa quanti siano i soldati russi in Libia, ma diverse stime arrivano a poco più di mille uomini dislocati ad appena un migliaio di chilometri dalle coste siciliane. “Avere uno stato proxy a qualche centinaio di chilometri dall’Italia e affacciato sul Mediterraneo centrale è perfetto per mettere pressione all’Europa”, spiega Tarek Megrisi dell’European Council of Foreign Relations. “In questo modo, Mosca può aggirare le sanzioni, può agire sul dossier dei migranti, può isolare l’Europa dal continente africano. Riguardo ai missili, non credo che Putin stia pensando di metterli in Libia o di usarli per attaccare l’Europa. Dopo tutto – aggiunge l’analista – la guerra è molto più di qualche missile e quindi il presidente russo sta usando la Libia come una risorsa strategica, in modo estremamente proficuo. Probabilmente si tratta dell’attività più vincente in politica estera da parte del Cremlino fino a oggi”. Un problema su cui il governo italiano intende spostare l’attenzione degli alleati.

“Del rafforzamento dei russi in Libia, per la verità, siamo al corrente da diverso tempo”, spiega al Foglio una fonte diplomatica. Tuttavia, solamente negli ultimi tre giorni Meloni ha rilanciato l’allarme rivolgendosi alla Camera e al Senato alla vigilia della sua partenza per i vertici della Nato e del Consiglio europeo: “Sono preoccupata da quello che accade nel Mediterraneo, da quello che accade in Libia, dove, dopo gli sviluppi della Siria, la Russia sta progressivamente spostando la sua influenza, perché è alla ricerca di uno stato nel quale stabilire la sua proiezione dal punto di vista navale nel Mediterraneo. Ne deve o non ne deve tenere conto l’Alleanza atlantica?”. Nelle intenzioni della premier, le sue parole non erano tanto rivolte alla Nato, che peraltro è già attiva nel Mediterraneo con la missione navale Sea Guardian. L’allarme è un messaggio per l’Unione europea e l’oggetto sottinteso delle sue preoccupazioni andrebbe ricercato lontano da Mosca. “Migranti, migranti, migranti – dice un funzionario europeo – L’Italia non parla d’altro, non interessa altro in Libia. D’altronde, a Kaja Kallas in questo momento interessa parlare solamente della Russia. Per questo l’unico modo per Meloni di farsi ascoltare è ricordare a tutti che anche in Libia ci sono gli uomini di Putin”.

I vecchi incubi legati agli sbarchi si stanno palesando nuovamente con l’arrivo dell’estate. I dati degli arrivi dalla Libia lungo la rotta del Mediterraneo centrale sono in forte crescita e Italia e Grecia si ritrovano di nuovo ad affrontare flussi elevati. Lo ha ammesso anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nella sua lettera inviata agli stati membri in vista del Consiglio europeo di oggi e domani. “Le partenze dalla Libia ammontano al 93 per cento degli sconfinamenti illegali, abbiamo stimato un aumento del 7 per cento lungo la rotta del Mediterraneo centrale e del 173 per cento riferito agli arrivi in Grecia dall’est della Libia”. Nella lettera, von der Leyen annuncia l’invio nel paese di Magnus Brunner, commissario per gli Affari interni e la Migrazione, quindi di una missione del Team Europe che dovrà parlare con le autorità dell’est e dell’ovest per calmierare le partenze.

Proprio il premier ellenico Kyriakos Mitsotakis è stato colui che più di tutti ha spinto von der Leyen a mettere in alto in agenda il tema dei migranti al Consiglio europeo. Due giorni fa ha annunciato l’invio di due fregate della Marina greca al largo della Libia per respingere i barconi. Una mossa senza precedenti che nasconde molte difficoltà da un punto di vista giuridico. “Sembra una specie di missione Sophia, fatta però per rispedire indietro i migranti – dice un funzionario europeo – Solo che è una mossa rischiosa: se una nave militare li intercetta, poi se li deve tenere”. Come sempre accade in Libia, l’aumento o la diminuzione dei flussi dei migranti è un fenomeno ciclico, spesso legato ad altri dossier. Nel caso greco, di recente si è aperta una partita delicata con le autorità libiche riguardo alle esplorazioni petrolifere al largo del paese nordafricano, un settore in cui Atene vorrebbe trovare spazio sottraendolo ai rivali turchi. Il mese scorso, il governo greco ha lanciato una gara d’appalto per le esplorazioni di idrocarburi a sud di Creta, con una mossa contestata da entrambi i governi libici, sia a ovest sia a est, perché giudicata lesiva della sovranità libica. Poco dopo sono aumentati i flussi “anomali” degli sbarchi verso le isole greche già piene di turisti.

Per il governo italiano, legare il dossier russo a quello dei migranti potrebbe essere funzionale ad attirare finalmente l’attenzione degli europei sul fronte mediterraneo. Due anni fa ci provò il ministro della Difesa Guido Crosetto. “L’aumento esponenziale del fenomeno migratorio che parte dalle coste africane – aveva detto il ministro nel marzo del 2023 – è parte di una strategia chiara di guerra ibrida che la divisione Wagner, mercenari al soldo della Russia, sta attuando”. Nel frattempo, le prove del diretto coinvolgimento dei russi nel business delle partenze non sono mai emerse. “A differenza di quanto ha fatto in passato Matteo Salvini, Meloni con intelligenza preferisce tenere le distanze da Putin, distaccarsi da un’adorazione nei suoi confronti – spiega Harchaoui – Lei e Haftar hanno legami molto stretti e il governo italiano sta cercando in ogni modo di stringere un accordo con Bengasi sui migranti. Sarebbe controproducente per la premier italiana dire ora che è proprio Saddam, il figlio del generale, a gestire direttamente questi traffici”. Soprattutto se lo stesso Saddam Haftar ha fatto visita in Italia appena una decina di giorni fa, con incontri ufficiali tenuti al ministero dell’Interno e a quello della Difesa, proprio per parlare di migranti. Sul tavolo delle discussioni, come risulta al Foglio, un piano di aiuti del governo italiano per addestrare le forze del generale e monitorare le frontiere.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare “Morosini”. Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.

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