Sette gruppi industriali su dieci vivono condizioni peggiori rispetto a un anno fa. Eppure, i mercati italiani e spagnoli sono quelli meno in difficoltà, nonostante i livelli di sofferenza aziendale siano comunque aumentati. I numeri del Weil European Distress Index
L’incertezza inasprisce lo stress delle aziende europee, fatta eccezione per Spagna e Italia. A calcolare gli effetti è l’ultimo Weil European Distress Index (Wedi) – report elaborato dallo studio legale newyorkese Weil, Gotshal & Manges sui dati di oltre 3.750 società quotate e 16 indicatori di difficoltà aziendale – secondo cui il livello di sofferenza delle aziende in Europa nel trimestre appena concluso è stato il più alto degli ultimi nove mesi, passando dal valore di 3,8 di febbraio a 4,1 di maggio 2025.
In tutte le principali economie europee ci sono tracce di questo vento di crisi, con sette gruppi industriali su dieci in condizioni peggiori rispetto a un anno fa. I risultati più pesanti si registrano in Germania, che ha chiuso il 2024 subendo una contrazione per il secondo anno consecutivo e un prodotto interno lordo in calo dello 0,2 per cento rispetto al 2023. Inoltre, le difficoltà del mercato tedesco sono aumentate sia rispetto allo scorso trimestre che all’anno precedente – specialmente in termini di investimenti, liquidità e valutazioni – raggiungendo il livello più alto da maggio 2020, in piena pandemia.
Anche il Regno Unito non se la passa bene: una convergenza di shock imprevisti tra dazi, prospettive deboli di crescita e tensioni internazionali ha incrementato le difficoltà delle imprese inglesi, riportandole al livello di crisi di agosto 2023. Tuttavia, il pil ha registrato una forte crescita nel primo trimestre del 2025, con un aumento della produzione dello 0,7 per cento, segnando la migliore performance trimestrale dall’inizio del 2024 grazie a una forte ripresa degli investimenti delle imprese (+5,9 per cento) e da robusti volumi di esportazione (+ 3,5 per cento). Eppure, si legge nel report, “la ripresa potrebbe rivelarsi temporanea, poiché le imprese hanno anticipato la domanda e accumulato scorte di beni in previsione degli aumenti legati ai dazi”.
Soffre anche la Francia, dove i livelli di stress aziendale hanno raggiunto quelli di agosto 2020. La lieve crescita del pil (+0,1 per cento) nel primo trimestre del 2025 è stata interamente trainata dal riassortimento delle scorte e dalla spesa pubblica, mentre i consumi delle famiglie sono rimasti deboli e gli investimenti fissi lordi sono diminuiti. Il settore manifatturiero mostra segnali di stabilizzazione e la banca centrale francese prevede una crescita (seppure limitata) nei prossimi mesi, ma continua a pesare il nodo delle esportazioni: in contrazione del 5,9 per cento ad aprile rispetto al mese precedente.
Anche Italia e Spagna soffrono, ma meno degli altri paesi europei. Nonostante continuino a registrare punteggi Wedi superiori alla media di lungo periodo, per il report quello italiano e quello spagnolo sono i mercati meno in difficoltà in Europa. I livelli di crisi sono leggermente aumentati in questo trimestre, ma rimangono notevolmente al di sotto dei livelli registrati nello stesso periodo dell’anno scorso. Da un lato, il pil spagnolo è cresciuto dello 0,6 per cento su base trimestrale e del 2,8 per cento su base annua nel primo trimestre del 2025, superando la maggior parte delle maggiori economie dell’eurozona. Dall’altro, quello italiano è aumentato dello 0,3 per cento nel primo trimestre rispetto al precedente, anche grazie agli investimenti fissi lordi in aumento dell’1,4 per cento, e ai consumi delle famiglie cresciuti dello 0,6. Tuttavia, gli indici Pmi (i principali indicatori economici sul settore manifatturiero e terziario), offrono scenari divergenti. I servizi in Italia vanno bene, dato che l’indice è salito a 53,2 a maggio 2025 da 52,9 del mese precedente, superando le aspettative del mercato. Quello legato alla manifattura invece è diminuito a maggio 2025, indicando una lieve contrazione dell’attività industriale. Su questo punto, l’Italia vanta uno storico decisamente non invidiabile: per 26 mesi consecutivi la produzione industriale è rimasta negativa, anche se gli ultimissimi dati hanno ha registrato un incremento (robusto) dell’1 per cento, che ha interrotto quella perenne discesa che durava dal gennaio ’23.
Allargando il punto di vista su scala europea, emerge che la sofferenza del settore del commercio al dettaglio e dei beni di consumo ha raggiunto il livello più alto da settembre 2009. Alla base di questa flessione – la più elevata fra i vari settori inclusi nell’indice – c’è l’indebolimento della liquidità, il calo della redditività e l’inasprimento delle condizioni di credito. Inoltre, la domanda dei consumatori resta fragile a causa delle continue pressioni sul costo della vita e della scarsa fiducia: fattori che continuano a frenare la spesa. Soffre anche l’industria, appesantita dal blocco degli investimenti e dall’esposizione ai dazi (in particolare nei settori dell’acciaio e dell’automotive), accompagnata dall’immobiliare, ma non dal settore viaggi e dell’ospitalità. Si rinuncia a investire e comprare case, ma alla vacanza no.