Meloni in Senato riceve segnali dai riformisti Pd e da Calenda. Poi il pranzo al Quirinale

La premier dialoga con la minoranza dem e con Azione. Prima di partire per il vertice Nato colazione da Mattarella, con il presidente Usa convitato di pietra

“Si vis pacem, para bellum”, dice Giorgia Meloni in Senato. E subito Angelo Bonelli di Avs le risponde che “pecunia est nervus belli”. Ed Elly Schlein, leader del Pd, fa notare alla premier che “il mondo rispetto a 2.000 anni fa ha fatto passi avanti nella risoluzione delle controversie”. Insomma, siccome la giornata gira sulla citazione in latino di Giorgia Meloni in Senato sull’importanza del riarmo europeo e sull’allineamento dell’Italia agli standard Nato per le spese militari, occorre tirare fuori ancora altro latinorum per raccontare la fotografia di queste comunicazioni a Palazzo Madama. E cioè la premier in versione divide et impera. Perché il suo intervento sui conflitti in medio oriente e in Ucraina – al netto della difesa a Donald Trump sul caos crescente che non dipenderebbe dal presidente Usa – riesce a spaccare il Pd e anche il fu Terzo polo renzian-calendiano.

I riformisti del Pd, o comunque l’ala meno allineata a Elly Schlein, sembrano scavare con le loro parole un piccolo tunnel fra il Nazareno e Palazzo Chigi. D’altronde alla senatrice dem Simona Malpezzi, prima che iniziasse il dibattito in Aula, era scappato parlando con una collega un “Giorgia è stata brava alla Camera”. Cioè il giorno prima. E questa volta la pattuglia democratica, ad ascoltare gli interventi e le risposte della premier, è parsa più che dialogante. Ecco Graziano Delrio, ala cattodem, dire alla leader di destra che “ho riconosciuto alcuni elementi condivisibili, in particolare la volontà di non arrendersi alla logica della guerra e di riaffermare il ruolo della diplomazia e del dialogo. E’ un approccio che riteniamo necessario, oggi più che mai”. Una mano tesa che Meloni nella replica non si lascerà sfuggire, contraccambiando stima e parte del ragionamento.

Una dinamica simile accadrà poco più tardi con Alessandro Alfieri, coordinatore di Energia popolare e cioè la cosa che resta della mozione Bonaccini. Con il senatore che parla dell’importanza di utilizzare il Piano Mattei anche la sicurezza e la premier che più tardi non solo gli darà ragione, ma annuncia che farà propria questa proposta. Miracolo dei confitti che accendono le controversie e le guerricciole interne all’opposizione, frammentata più che mai come dimostra anche la risoluzione della minoranza. Ci penserà Francesco Boccia, il capogruppo ora tendenza Elly, a rimettere la chiesa al centro del villaggio Pd. Picchiando duro sulla citazione del prepararsi alla guerra se si vuole la pace, ma anche sulla subalternità del governo a Trump. Meloni, sempre in versione molto trattenuta, si lascerà andare anche ironia solo su Giuseppe Conte, nel frattempo all’Aia al contro vertice Nato.

Visto dalla tribuna del secondo piano del Senato, anche senza binocolo à la Panza, l’intero dibattito soprattutto sul conflitto Iran-Israele è sembrato fuori sincrono rispetto alle continue evoluzioni del conflitto. “La tregua annunciata da Trump è stata rotta”, leggevano i senatori sui cellulari. E però bisogna stare agganciati al rapporto odi et amo (ci risiamo) fra Meloni e i partiti che la contrastano per andare alle prossime elezioni al governo. Carla Calenda, accompagnato dal figlio Giacomo in veste di assistente gratuito, nel suo intervento sottolineerà di condividere “in larga parte” la relazione depositata dalla premier, salvo distinguersi alla fine sul ruolo del “bullo Trump” che preferisce Putin all’Europa. Questa intesa sulla difesa produrrà il parere favorevole del governo sul documento di Azione con anche tre sì del Pd (Sensi, Malpezzi, Casini).

Poi certo arriva Matteo Renzi e quindi bisogna fermarsi: perché l’ex premier si colloca più che all’opposizione. Tra Paragon che spia i giornalisti e Meloni tace, il derby sull’autorevolezza fra la premier e il suo predecessore Mario Draghi, e le stoccate ad Antonio Tajani che sul conflitto in medio oriente o sbaglia sempre dichiarazioni o porta sfortuna si capisce come il senatore fiorentino non sia interessato a fare sconti alla presidente del Consiglio. Anzi più tardi in mezzo al salone Garibaldi punzecchierà il capogruppo leghista Massimiliano Romeo dicendogli “ho visto che quando attaccavo Tajani, voi leghisti ridevate”. “Io no, ero uscito dall’Aula per non essere travisato”. Piccolo show renziano, anche questo una consuetudine qui a Palazzo Madama, con l’ex Rottamatore che sfotte Romeo sul terzo mandato, su Zaia che ha poco da brindare, il tutto circondato da un nugolo di giornalisti a cui lui rivolge domande.

C’è una discreta aria da ultimi giorni di scuola prima delle vacanze, questo sì. Prima di partire per il vertice Nato dell’Aia che sarà seguìto dal Consiglio europeo a Bruxelles, Meloni con una delegazione dei ministri partecipa al rituale pranzo al Quirinale. Clima disteso fra governo e presidente della Repubblica. A un certo punto esce fuori l’argomento Trump. “Chissà se verrà all’Aia”. Gelo. Fortuna che poi arrivano notizie incoraggianti: “E’ partito”. E il pranzo può volgere al termine. Meloni si tiene leggera: verso mezzogiorno aveva già fatto un antipasto di correnti Pd e lacerti del fu Terzo polo. Almeno così la mettono giù dalle parti di Fratelli d’Italia.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d’autore.

Leave a comment

Your email address will not be published.