Gli episodi raccontati in “La notte ucraina. Storie da una rivoluzione” sono avvenuti dodici anni fa durante l’occupazione della piazza Maidan a Kyiv. Questi rappresentano l’antefatto della guerra che oggi l’Ucraina è costretta a combattere e aiutano a capire com’è fatto un momento rivoluzionario
Un ragazzo di sedici anni è stato colpito di striscio da un proiettile della polizia, ma ha deciso di non restare a casa. “Tua mamma deve essere molto arrabbiata. Ti ha lasciato tornare in piazza?” gli chiedono. “Mia mamma stava assemblando molotov”. Una mamma che non è in apprensione per il figlio ferito appartiene a un mondo insolito, che la maggior parte di noi non conosce e neppure immagina, anche se è distante solo poche centinaia di chilometri. Episodi come questo, avvenuti dodici anni fa durante l’occupazione della piazza Maidan a Kyiv, sono l’antefatto della guerra che oggi l’Ucraina è costretta a combattere. La rivolta cominciò quando il presidente filorusso Janukovyc, sotto pressione di Putin, interruppe i negoziati che dovevano avvicinare l’Ucraina all’Unione europea, e culminò con la sua fuga dal paese. Gli eventi sono stati ricostruiti nel dettaglio da Marci Shore, professoressa di storia a Yale, nel libro da poco uscito anche in Italia, “La notte ucraina. Storie da una rivoluzione” (Castelvecchi 2025, con introduzione e traduzione di Olivia Guaraldo e un saggio finale di Giacomo Mormino).
In Europa molti restano freddi davanti alle premesse e alle conseguenze dell’invasione russa. In fondo, si dice, è una questione tra genti slave, cosa c’entriamo noi? Un atteggiamento scusabile in un’epoca di mobilitazione emotiva permanente e spesso posticcia: fra le tante, troppe ingiustizie quotidiane, non sappiamo a cosa dedicare la nostra attenzione, che non è infinita, e la scelta più semplice sembra quella delle tre scimmiette, tapparsi occhi, orecchie e bocca. Il piagnisteo e il clamore globali su qualsiasi accidente ci hanno anestetizzato rispetto alle poche situazioni che meriterebbero partecipazione e coinvolgimento, soprattutto perché si tratta non di popoli lontani ed esotici ma di noi. Forse qui non lo abbiamo ancora inteso, ma laggiù è chiaro da tempo: “L’Ucraina è Europa!” gridavano gli studenti del Maidan nel 2013.
Il libro di Shore ci dice tre cose utili per capire quei mesi fatali e più in generale com’è fatto un momento rivoluzionario, l’esperienza, cioè, che giovani, vecchi, intellettuali e persone comuni, dalle nostre parti rimpiangono oppure idealizzano con insistenza. In primo luogo: che cosa succede dentro una folla rivoluzionaria? Ci si abbraccia spontaneamente, anche tra sconosciuti. Si scatena l’ebbrezza che gli psicologi definiscono “oceanica”, un’apertura totale verso agli altri, senza la paura di essere respinti, giudicati o fraintesi. Una fastidiosa necessità quotidiana – il contatto con il prossimo – diventa fonte di gioia. “L’essenza del Maidan era scambiarsi sorrisi con gli estranei”. Secondo punto: quali sono le condizioni necessarie perché gli abbracci e i sorrisi abbiano un significato rivoluzionario? Qual è la differenza tra Maidan e un concerto rock o un comizio politico? La presenza tangibile della morte. In quei frangenti, stare assieme era in funzione di una minaccia reale. E’ la possibilità di venire uccisi dalla polizia, che cementa i legami tra persone che, in altre circostanze, nemmeno si saluterebbero. “Quando vivi l’esperienza di essere con persone che sono pronte a morire per te, è una meraviglia. Nel momento del pericolo tutti si sono uniti e le differenze non contano più”.
Piazza Maidan assomigliava a una scampagnata intramoenia, all’inizio c’erano anche i nonni e i bambini, fino a quando i poliziotti hanno messo da parte gli idranti e cominciato a sparare. La folla è diventata rivoluzionaria nel preciso momento in cui ha visto i primi morti ma non è tornata a casa. Il terzo insegnamento è l’automatismo cieco dell’evento rivoluzionario. Nessun argomento potrà mai convincere una madre a smettere di preoccuparsi per il proprio figlio. Non c’è un perché, però è successo. “Nessuno ci ha detto cosa fare. Abbiamo improvvisato. Non avevamo un piano”. Scagliare molotov diventa istintivo come schiacciare con il piede una sigaretta accesa. Nessun calcolo delle probabilità, dichiarazione d’intenti, manifesto, possono guidare una rivoluzione, anche se ciò contraddice i dogmi della nostra cultura parolaia. La rivoluzione, al contrario, possiede una spontaneità senza esitazioni che per qualche giorno o settimana dà alle vicende umane la grazia impietosa e selvaggia dei fenomeni di natura. “Proprio per questo il Maidan è stato un miracolo”, e anche per questo, oggi, non dobbiamo lasciare sola l’Ucraina, avanguardia d’Europa.