La recensione del libro di Patrizia Sardo Marras edito da Bompiani, 363 pp., 19 euro
Ci sono tanti episodi, momenti e comportamenti in base ai quali una donna come Patrizia Sardo non avrebbe mai dovuto sposare uno come Antonio Marras, che lei si diverte da sempre a chiamare – per scherzo, scherno, ammirazione (o amore?) – e a scrivere tutto attaccato: antoniomarras. O forse no, perché, probabilmente, era già tutto stabilito in quel pomeriggio di sole di febbraio quando lei, allora quattordicenne, percorrendo via Manzoni con la tuta da aviatore del padre addosso (“fedele al motto che la semplicità premia sempre”), lo incontra per la prima volta. Più grande di due anni, indossava un maglione celeste di Topolino e aveva la testa piena di ricci che lo facevano assomigliare a Battisti. “Da allora è stato tutto un attimo”, scrive in “La moda non è un mestiere per cuori solitari“, la sua, la loro storia e della maison sarda con base operativa anche a Milano, con negozi nelle principali città italiane e adesso anche a New York. Patrizia ha scoperto di essersi innamorata di lui lavandosi i denti nel bagno della sua casa di famiglia “con le mattonelle di Valentino e i colibrì azzurri”, ritrovandosi così “incastrata nella tela dorata di un ragno magico dai poteri taumaturgici”. Una vita insieme a lui per cui “è bianco o nero, è tutto o niente, è lasciate ogni speranza voi che entrate”. Un uomo indefinibile, caleidoscopico, sempre vero in tutte le sue manifestazioni, un ossimoro vivente, un Maicontentu, come lo chiamava sua madre Nannina, a cui sopravvivere, come ha fatto Patrizia, accumulando passioni ed oggetti. La barca a vela con sua sorella Daniela, l’equitazione con suo figlio Efisio, i viaggi con l’altro figlio Leo e i libri, “cui attingere per sentirsi meglio”. Come questo che ha scritto lei, mai scontato, pieno di ricordi, sorprese e aneddoti. Pieno di vita. Un libro in cui racconta della sua e delle loro famiglie originarie, e di quella costruita con i tanti amici di sempre e nuovi. Patrizia cuce e tiene le fila di tutto come faceva sua madre sarta con i vestiti, “gli stracci”, come li chiama Antonio Marras, una passione che è diventata una professione. Se un imprenditore senza stile chiese loro perché non fossero ricchi e famosi come Dolce&Gabbana, lei rispose “perché siamo sempre stati immersi nelle parti creative del nostro lavoro, dunque distanti da regole non scritte”. Un altro, negli ultimi anni, li ha salvati, riportandoli a lavorare con un entusiasmo e una voglia di fare ancora più grande, ben conoscendo la distinzione tra il mondo sensibile e quello delle idee, l’imperfezione e ciò che non lo è. Tanto loro, come disse Susy Menkes, non potranno mai fallire, perché sono più di una collezione e di un brand. Hanno già vinto perché hanno altro e comunque vada, sarà un’esperienza.
Patrizia Sardo Marras
La moda non è un mestiere per cuori solitari
Bompiani, 363 pp., 19 euro