Alcuni supermercati tolgono dagli scaffali i prodotti israeliani per metterci una bibita “simbolo di resistenza”, ma prodotta in Polonia. Scelte simboliche, soft drink palestinesi e fantozziano rutto libero
“Non è un boicottaggio, ma una scelta simbolica”. E già qui la bibita gasata di Gaza potrebbe far scattare il fantozziano rutto libero. Il sistema delle Coop un tempo rosse, ora Legacoop, ha da molti anni, fortunatamente, separato i suoi destini da quelli del fu Pci oggi Pd. Ognuno per sé e Dio contro tutti, diceva il vecchio Herzog. Restano semmai alcune affinità elettive, come le somiglianze tra lontani parenti o i tratti del carattere: tipo l’ambiguità nell’uso delle parole, la cara antica lingua di legno. Così, se il Pd di Elly Schlein riesce a dirsi fedele alla Nato, ma poi partecipa al corteo contro il Rearm Europe; se nega recisamente (e fa molto bene) l’indulgenza verso Hamas ma poi sfila con i proPal, allo stesso modo i supermercati ex Coop – le Coop Alleanza 3.0, la parte più grande del sistema Coop nell’area adriatica e del nordest – possono benissimo boicottare i prodotti israeliani, toglierli dai suoi scaffali in ottemperanza alle campagne Bds epperò dire, con tranquillità, che “non è un boicottaggio, ma una scelta simbolica”. L’importante è credersi sinceri.
Ma se stiamo ai fatti, per i 350 punti vendita in otto regioni delle Coop di storica affinità elettiva con la sinistra filopalestinese si tratta di togliere dalla vendita alcuni marchi di arachidi e di salsa di semi di sesamo e soprattutto quelli dell’odiatissimo marchio SodaStream. In compenso, ecco magicamente apparire sugli stessi scaffali le lattine di “Gaza Cola”. E pazienza se il logo e il colore possono farvi pensare a una amerikanissima Coca-Cola taroccata. La presenza dei colori della bandiera palestinese vi riporterà subito dalle parti del ridicolo prete che ha detto messa indossando i paramenti a mo’ di bandiera di Gaza. La frizzante bevanda non è però nuova.
La “Gaza Cola”, che “offre ai consumatori un’alternativa ‘libera dall’apartheid’ rispetto ai marchi tradizionali” è stata creata nel 2023 da un attivista palestinese, Osama Qashoo, con l’intento, tra l’altro, di finanziare la ricostruzione dell’ospedale Al Karama a Gaza. La cosa buffa, perché boicottare la parte colonialista del mondo va bene, ma la globalizzazione è una brutta bestia, è che in verità “la cola alternativa che porta la guerra nei ristoranti di mezzo mondo”, come è riuscito a scrivere il Gambero rosso, questo prodotto che è “molto più di una semplice bibita: è un simbolo di resistenza, solidarietà e ricostruzione”, frutto di “ingredienti di provenienza palestinese” viene invece prodotto in Polonia. Da lì è importata nel Regno Unito e distribuita principalmente attraverso reti palestinesi. Buon per i suoi produttori e distributori – dove passano i soft drink non passano gli eserciti, direbbe quello – ma la scelta “fortemente simbolica” di Coop Alleanza 3.0 cozza in modo rumoroso con quanto aveva scritto al Foglio, esattamente un anno fa, il suo presidente Mario Cifiello, a proposito di un “appello promosso da alcuni soci del movimento cooperativo” che invocavano il boicottaggio: “Riteniamo legittime e rispettabili tutte le scelte di acquisto – o di ‘non acquisto’”, scriveva. “Non possiamo però imporre a tutti questa linea, nella convinzione che la libertà di agire secondo i propri personali convincimenti sia in assoluto il primo valore da tutelare”. Cola, simboli e rutto libero.