La Russia in Libia, la minaccia che si finge di non vedere

Rivolgendosi alla Camera in vista del Consiglio europeo, Meloni segnala un rischio strategico cruciale. Una scomoda verità

C’è un passaggio, nel discorso di Giorgia Meloni di ieri alla Camera, che merita più attenzione di quella che ha ricevuto. Non è stato il più citato nelle agenzie, non aprirà i telegiornali, non mobiliterà i sentimenti dei pacifisti da salotto. Eppure è probabilmente uno dei punti più rilevanti delle comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 26 giugno: riguarda la Libia, e il ruolo crescente della Russia nel Mediterraneo. Meloni lo ha detto con chiarezza, in fondo al ragionamento su instabilità e migrazioni, come se volesse mettere alla prova la capacità dell’aula – e dei suoi avversari – di ascoltare: “l’Est e il Sud della Libia sono già le principali teste di ponte della proiezione militare russa in Africa”. E ancora: “C’è il rischio concreto che la Russia possa sfruttare l’instabilità attuale per rafforzarsi ulteriormente in Libia e quindi nel Mediterraneo”. Un’allerta netta, inequivocabile, che chiede all’Unione europea di svegliarsi. Perché se il fronte ucraino è il punto più visibile dello scontro fra Europa e Russia, quello libico potrebbe presto diventare il più insidioso.

A chi si riferisce Meloni? Ai governi europei – Francia in testa – che negli anni scorsi hanno giocato partite divergenti su Tripoli, tradendo ogni velleità di coesione strategica. Ma anche a quell’area trasversale, che va dalla sinistra pacifista alla destra isolazionista, che si ostina a leggere la Libia solo come una questione migratoria, o peggio, solo come un problema “degli altri”. Non lo è. Una Libia frammentata è oggi, più che mai, il luogo ideale per l’espansione russa nel continente. Wagner prima e l’esercito regolare russo poi hanno trovato sponde solide nell’Est del Paese. La premier non lo dice apertamente, ma il sottotesto è chiaro: chi rifiuta di vedere in Libia una frontiera avanzata della sfida tra l’ordine internazionale e le autocrazie revisioniste, è parte del problema. Perché mentre l’Italia cerca – con tutti i limiti del caso – di tenere insieme il dialogo, il sostegno all’Onu, e il contenimento dei traffici, la Russia occupa spazi, rafforza milizie, e punta dritto al cuore del Mediterraneo.

Meloni fa bene, dunque, a legare la stabilità libica non solo al contrasto delle migrazioni irregolari, ma anche alla sicurezza europea. E’ nei “vuoti di potere”, dice, che si radicano i traffici e le reti criminali. Ma è anche in quei vuoti che si infilano le potenze ostili. Il messaggio, in sostanza, è che non si può parlare di “autonomia strategica europea” continuando a ignorare il fronte sud. Che l’Europa non è un’isola e che l’Italia non può più permettersi un’Unione dormiente.

C’è anche un passaggio, più sottile ma altrettanto cruciale, in cui Meloni chiede una coesione leale degli Stati membri a sostegno dell’azione Onu. Non è solo un appello alla diplomazia multilaterale. E’ una frecciata rivolta agli europei che, per anni, hanno sabotato ogni possibilità di stabilizzazione per calcoli energetici o nostalgie coloniali. In questo quadro, l’insistenza del governo italiano sul dossier libico ha un merito: quello di ricordare all’Europa che la minaccia non arriva solo da est, ma anche da sud. E che se non vogliamo trovarci tra cinque anni con basi militari russe a poche centinaia di chilometri dalle coste italiane, è ora che il Consiglio europeo smetta di voltarsi dall’altra parte.

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