Vertice cruciale per Roma: servono strategie chiare, infrastrutture sicure e cyberspazio sotto controllo. Il confronto all’Aia rivela quanto ancora ci sia da fare per avere peso reale
Ci sono vertici internazionali che servono per stringersi la mano e fare belle foto. E ce ne sono altri che servono per misurare il grado di credibilità degli stati. Il vertice della Nato che si apre oggi all’Aia appartiene a questa seconda categoria. Ed è, per l’Italia, un momento delicato. Non perché il governo Meloni non abbia fatto sentire la propria voce sull’Alleanza. Ma un conto è alzare la voce, un altro è farsi ascoltare. E per essere ascoltati bisogna arrivare con dei fatti. In questo senso, una relazione parlamentare del 2011 – il documento Doc. XXXIV n. 6 del Copasir – aiuta a capire che perché l’Italia ha ancora tanto da mettere a posto. A partire da una strategia nazionale di sicurezza. Il Copasir lo scriveva: il sistema italiano è privo di un documento d’indirizzo approvato dal vertice politico dell’intelligence. Nessun testo che dica chiaramente: queste sono le minacce, questi gli interessi, queste le priorità. Ogni governo si muove con mappe diverse. L’impressione che si dà è di un paese che improvvisa.
C’è poi un tema strutturale: il funzionamento dell’intelligence. Dopo la riforma del 2007, l’Italia ha diviso i compiti tra Aise (estero) e Aisi (interno), affidando al Dis il ruolo di “cerniera”. Ma quella cerniera – scriveva il Copasir – non girava bene: flussi informativi lenti, banche-dati non integrate, architetture che non comunicano. E oggi, con la sicurezza che dipende dalla rapidità dei dati, questo è un problema anche per la Nato. Un’altra questione è il dominio cibernetico. La sicurezza digitale è parte integrante della difesa. Il Copasir chiedeva già nel 2011 una regia chiara, una responsabilità unica, confini definiti. Oggi l’Agenzia per la cybersicurezza c’è, ma la filiera è ancora complessa, i fondi scarsi, la preparazione diseguale. All’Aia si parlerà anche di questo: come applicare il principio di difesa collettiva agli attacchi cibernetici. Altro nodo: l’energia. L’Italia si propone di guidare il fianco Sud della Nato. Ma per essere presa sul serio deve garantire la sicurezza dei suoi snodi strategici. Già anni fa il Copasir segnalava la vulnerabilità delle infrastrutture energetiche. Da allora il TAP è diventato centrale, l’Italia si è candidata come hub europeo. Ma senza droni subacquei, pattugliamenti, sistemi d’emergenza, resta una proposta più suggestiva che concreta. Infine c’è il tema del capitale umano e della trasparenza democratica. La sicurezza nazionale ha aree sottratte al controllo giudiziario, e proprio per questo servono più trasparenza e più rigore. E’ un monito che vale oggi più di ieri. Se l’Italia vuole davvero partecipare ai circuiti più sofisticati della cooperazione Nato, deve poter garantire l’uso tracciabile degli strumenti tecnologici e personale all’altezza.
Il vertice dell’Aia non è una semplice passerella. E’ un banco di prova. Se l’Italia saprà colmare quei vuoti, potrà dettare l’agenda. Altrimenti, rischia di tornare a casa con pochi strumenti e tante buone intenzioni.