Come sta il vino italiano

Nonostante il clima di incertezza internazionale, il comparto ha retto bene, ma serve un passo avanti e la volontà di far fronte comune ai cambiamenti del mercato. I dati di Valoritalia

La situazione internazionale è quella che è, non buona, claudicante tra guerre, dazi e un clima di incertezza generalizzato. E quando è così, tra i primi settori a subire i contraccolpi economici dell’incertezza internazionale è, solitamente, il settore enogastronomico. Nonostante tutto questo però dal mercato del vino italiano arrivano notizie se non positive, quanto meno rassicuranti: il comparto ha retto bene. Secondo l’Annual Report 2025 di Valoritalia, società italiana specializzata nella certificazione dei prodotti agroalimentari e leader nel settore vitivinicolo, le bottiglie immesse sul mercato lo scorso anno sono state, nel complesso, 2,019 miliardi, un numero inferiore dello 0,46 per cento rispetto alle 2,028 miliardi dell’anno precedente, ma superiore dell’1,4 per cento alla media del periodo 2019-2023.

“Nonostante il contesto internazionale complesso, il 2024 si conferma un anno di consolidamento, non brillante ma comunque positivo”, ha detto lunedì sera, durante la presentazione dello studio, il direttore generale di Valoritalia, Giuseppe Liberatore. “Un dato particolarmente significativo che mostra come la filiera italiana mantenga i volumi elevati del 2021, raggiunti con l’inaspettato boom dei consumi dell’era covid, con oltre 110 milioni di bottiglie in più rispetto al 2019, segno di competitività delle nostre imprese anche in momenti difficili come questo”, ha sottolineato.

Il 2024 ha confermato ancora una volta il cambiamento in atto nei gusti degli italiani e di chi all’estero sceglie di bere vino italiano. Le scelte ricadono sempre di più sulle bollicine (cresciute nel 2024 del 5 per cento), mentre i bianchi hanno perso il 5 per cento e i rossi hanno subito una contrazione del 6,8 per cento, anche se delle 128 denominazioni di origine che compongono questa categoria ben 38 hanno chiuso l’anno con valori positivi, e tra queste alcune importanti denominazioni come Barolo, Brunello di Montalcino, Bolgheri e Maremma Toscana. Dati che non stupiscono gli addetti ai lavori e che non sono preoccupanti, in quanto legati a un diverso stile di consumo.

Per quanto riguarda invece le tipologie di denominazione, cresce il mercato dei vini Doc (più 2,7 per cento), mentre subiscono una flessione sia i Docg (meno 2,3 per cento), sia gli Igt, che l’anno scorso erano cresciuti del 16,5 per cento.

I cali non devono preoccipare, ma dovrebbero far riflettere il settore sulla necessità di dover fare un passo avanti: dovrebbe unirsi per essere più competitivo e quindi crescere di più e meglio nel panorama internazionale. Alcune denominazioni di origine sono troppo piccole e non hanno volumi sufficienti per poter progredire, sia nel mercato, sia, soprattutto, nelle sfide tecnologiche che anche un settore come quello vitivinicolo deve affrontare. Nel nostro paese infatti esistono, secondo i numeri dati da Federdoc, 526 denominazioni, un numero elevatissimo, soprattutto considerando il fatto che molte di queste esistono solo sulla carta, altre non raggiungono una dimensione commercialmente significativa e solo poche decine possono vantare volumi, notorietà, risorse e organizzazione adeguate a competere sui mercati internazionali. Secondo l’Annual Report di Valoritalia infatti, delle 219 denominazioni certificate dall’azienda (il 43 per cento del totale, che rappresentano ben più della metà dell’imbottigliato nazionale) le prime venti concentrano ben l’86 per cento dell’imbottigliato e le prime 40 quasi il 95 per cento, mentre le ultime 139 raggiungono solo il 1,4 per cento del totale. E considerato il valore economico il 40 per cento di tutte le denominazioni generano un fatturato non superiore al milione di euro, mentre, le 26 denominazioni importanti, cioè il 12 per cento, superano i 50 milioni.

Spiega il presidente di Valoritalia, Francesco Liantonio, che “la variabilità dei volumi di imbottigliato tende a ridursi man mano che cresce la dimensione della denominazione. In altri termini, più una denominazione è grande, quindi con elevata articolazione e filiere estese, maggiore è la sua stabilità sul mercato. Ovviamente, possono esserci anni in cui anche le denominazioni più grandi contraggono i volumi, talvolta in modo significativo, ma se le guardiamo con una prospettiva di lungo periodo ci accorgiamo che i volumi dell’imbottigliato tendono gradualmente a crescere e a consolidare le posizioni acquisite. Viceversa, i volumi tendono a diventare sempre più ‘volatili’ man mano che le dimensioni delle denominazioni si riducono, fino ad arrivare ai casi limite di alcune di queste in cui gli imbottigliamenti annuali si possono contare sulle dita di una mano o sono del tutto assenti”.

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