L’AI non ha sostituito la guerra, ma ne ha trasformato il volto, dall’invasione russa del 2022 alla guerra di Israele contro Hamas e Hezbollah. Dentro due guerre, la vera novità è questa: l’uomo decide, ma spesso è la macchina a suggerire
Nel febbraio 2022, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, il conflitto è cominciato con le vecchie categorie: carri armati, missili, difesa antiaerea. Ma ben presto, dietro le quinte, è emerso un nuovo protagonista: l’intelligenza artificiale. Non nei laboratori della Silicon Valley, ma sul campo. Non nei convegni sull’etica, ma nella giungla delle operazioni militari. L’Ucraina ha combattuto (e combatte) una guerra asimmetrica contro un avversario più grande, più armato, più numeroso. E ha trovato in una generazione di strumenti software la chiave per riequilibrare lo scontro.
Uno dei simboli di questa svolta è il sistema “Delta”, una piattaforma integrata di consapevolezza situazionale che aggrega informazioni da satelliti, droni, segnalazioni via app, immagini open source e le restituisce in tempo reale ai comandi militari. Ma Delta non è solo una mappa. E’ un cervello. Un sistema che incrocia i dati, li interpreta, propone scenari. Che impara dagli attacchi precedenti. Che suggerisce quali bersagli hanno più probabilità di essere colpiti con successo. In più, fa tutto questo in tempo reale, con l’aiuto di modelli di intelligenza artificiale sviluppati anche grazie alla collaborazione con società private occidentali.
In alcuni casi, il software riesce a sincronizzare in pochi secondi le informazioni che prima richiedevano ore di analisi. Non si tratta solo di visualizzare dati su una mappa, ma di comprendere, in modo dinamico, cosa sta accadendo in un determinato quadrante operativo. Le truppe che utilizzano Delta, dicono le fonti sul campo, reagiscono più in fretta, evitano più perdite, riescono a disorientare il nemico con maggiore efficacia. L’efficienza dell’IA, qui, non è una promessa futuristica. E’ già diventata una routine tattica. Lo stesso vale per i droni. Se quelli russi sono spesso poco più che bombe volanti, quelli ucraini sono diventati piattaforme mobili, capaci di scegliere il bersaglio grazie a modelli di riconoscimento visivo, di seguire un veicolo in movimento, di registrare e correggere i propri parametri di attacco. In alcuni casi, i modelli sono addestrati a riconoscere la forma e la firma termica di un carro armato, di un radar, di un veicolo da trasporto. Il soldato è ancora presente. Ma spesso si limita a confermare quello che il drone ha già capito.
Anche qui, il passaggio è sottile ma decisivo: non è più il soldato che cerca il bersaglio, ma il sistema automatizzato che lo individua, lo analizza e lo presenta all’operatore con un’indicazione di priorità. Questo non significa che l’uomo abbia perso il controllo. Ma significa che il tempo della decisione è stato drasticamente compresso. E in guerra, il tempo è potere.
In Israele, il passo successivo si è visto in modo ancora più nitido. Dopo il massacro del 7 ottobre, l’Idf ha attivato un sistema automatizzato chiamato “Gospel”, il cui compito è quello di identificare e classificare in tempo reale migliaia di obiettivi sensibili nelle aree urbane. Gospel non è un software qualunque: è un motore di priorità militare, che riceve dati da decine di fonti – intercettazioni, droni, tracciamenti, immagini satellitari – e segnala in tempo reale quali bersagli abbiano la massima rilevanza strategica. Il comandante decide se procedere. Ma l’informazione arriva già “pesata”, già proposta, già selezionata. E non è un dettaglio. Perché in una guerra combattuta casa per casa, tunnel per tunnel, la velocità dell’elaborazione è diventata un vantaggio critico. Lo stesso vale per la sorveglianza del fronte nord, al confine con il Libano. Qui, sistemi AI di rilevamento sonoro e visivo sono integrati con sensori fissi, analizzano pattern di movimento, confrontano traiettorie. Non si tratta di sapere solo dove si trova il nemico. Si tratta di intuire dove sarà. Naturalmente, questi strumenti non sono perfetti. Hanno bisogno di essere addestrati, migliorati, calibrati. Alcuni errori restano, come ogni sistema statistico. Ma cambiano radicalmente la logica dello scontro. La guerra algoritmica non sostituisce l’uomo. Ma ne filtra le decisioni. L’intelligenza artificiale non preme il grilletto, ma suggerisce su cosa valga la pena sparare. E su cosa no.
Il tema ha anche un impatto civile. Entrambi i conflitti hanno visto l’utilizzo di IA anche nella comunicazione e nella propaganda. La Russia ha usato reti neurali per generare video deepfake, per diffondere notizie false con identità sintetiche, per saturare i social con contenuti anti-ucraini. L’Ucraina ha risposto con strumenti simili, anche nel campo della traduzione automatica, della personalizzazione dei messaggi sui social, della creazione di video di resistenza e mobilitazione. In Israele, l’IA è entrata anche nei sistemi di allarme civili. Il sistema Red Alert è stato integrato con modelli predittivi che, analizzando le traiettorie dei razzi e la frequenza degli attacchi, anticipano i tempi di evacuazione. Un algoritmo decide se e quando far partire l’allerta in un quartiere. Una rete neurale stabilisce, in alcuni casi, se ciò che si avvicina è un razzo, un uccello o un falso positivo. Si tratta di scelte cruciali, che riguardano la vita delle persone. E che ora vengono delegate, almeno in parte, a un software.
Chi ha osservato questi sviluppi da fuori, anche nei centri Nato, sa che il futuro della difesa si giocherà sempre più su questi strumenti. Già oggi alcuni modelli AI riescono a ottimizzare i percorsi dei rifornimenti, a ridurre i tempi di reazione, a prevedere con una buona approssimazione i giorni in cui la probabilità di un attacco aumenta. Non è magia. E’ statistica. E’ potenza di calcolo. Ma è anche, ormai, una forma nuova di comando. In cui il software non sostituisce la catena di comando, ma la integra, la velocizza, la obbliga a confrontarsi con un flusso di dati continuo.
Uomo e macchina non sono più in competizione, ma in cooperazione. In una guerra in cui ogni secondo conta, l’IA non decide al posto tuo. Ma è lei a dirtelo per prima. E la tua risposta, sempre più spesso, dipende dalla sua intuizione.