Make Iran Free Again. Incoerente una buona volta con le sue promesse elettorali, il presidente americano ha fatto la cosa giusta. Non è la legge del taglione, non è un’escalation. E’ l’unico modo per trattare con il regime degli ayatollah
La parola d’ordine è una e soltanto una e vale la pena sintetizzarla così: Mifa, Make Iran Free Again. L’incoerenza, lo sappiamo, è l’asset migliore di cui dispongono i leader che hanno fatto del populismo il proprio mantra identitario. E anche per Donald Trump, dopo molti spaventosi mesi di coerenza, dopo molti spaventosi mesi in cui le pratiche di governo hanno coinciso con le promesse elettorali, è arrivato quel momento. Ed è un momento micidiale, fondamentale, cruciale. La formidabile incoerenza di Trump si è manifestata nella notte tra sabato e domenica quando il presidente americano ha scelto di mettere da parte le proprie promesse elettorali, l’America si occuperà solo dell’America, basta guerre, basta conflitti, basta interventismi, make isolazionismo great again, e ha compiuto il più importante dei gesti pacifisti che potesse compiere un presidente degli Stati Uniti: colpire l’Iran per neutralizzare la minaccia costituita dalla presenza di uno stato teocratico in mano ai fondamentalisti islamisti capace di dotarsi di un’arma atomica in grado di colpire l’unico presidio di libertà e di democrazia presente in medio oriente, ovvero Israele.
Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ieri lo ha detto in modo chiaro, con forza, trasformando in un elemento identitario quello che fino a poche settimane fa appariva un ossimoro per la presidenza americana. Difendere la pace non alzando una bandiera bianca, non disimpegnandosi, non dando agli aggressori tutto quello che chiedono per aprire una trattativa di pace, ma utilizzando l’unica arma diplomatica che le autocrazie e le dittature sono in grado di comprendere quando diventano una minaccia per la pace: la deterrenza, appunto.
La storia, ha dichiarato sabato sera Benjamin Netanyahu, ricorderà che il presidente Trump ha agito per negare al regime più pericoloso del mondo le armi più pericolose del mondo. E in un certo senso lo strike dell’America di Trump aggiunge un tassello al ragionamento perfetto fatto la scorsa settimana dal cancelliere tedesco Friedrich Merz che aveva detto che contro l’Iran Israele sta portando avanti un “lavoro sporco” che sarà utile non solo a Israele ma a tutto l’occidente. Il fatto che a portare avanti quel lavoro sporco contro una teocrazia islamista che minacciando l’esistenza stessa di Israele minaccia quella di tutto l’occidente libero vi sia anche l’America è una notizia importante non solo dal punto di vista pratico ma anche simbolico.
Trump, lo ricorderete, aveva promesso che con il suo arrivo al potere l’America sarebbe stata lontana da ogni conflitto, avrebbe usato cioè l’arma del disimpegno piuttosto che quella della deterrenza. Con l’azione in Iran, Trump non solo si smentisce, per un giorno, come fece d’altronde nel 2020 quando con un attacco aereo improvviso all’aeroporto di Baghdad uccise il generale iraniano Qasem Soleimani, ma fissa una linea di demarcazione, come scritto ieri dal Telegraph, tra l’occidente e i suoi nemici, e i suoi nemici interni, ancora più netta. E d’altronde la storia recente del medio oriente ci dice con chiarezza che ogni volta che l’occidente ha cercato di disarmare il terrore utilizzando le leve della diplomazia le cose non sono mai andate per il verso giusto.
E’ andata così in Siria, nel 2013, quando le “red line” fissate da Barack Obama dinnanzi alla Siria di Assad vennero superate e quando l’America obamiana scelse di rimanere immobile di fronte ai crimini dell’ex dittatore siriano lasciando un vuoto che fu la Russia poi a colmare fino a un anno fa. E in fondo è andata così, negli ultimi anni, anche con l’Iran e i suoi alleati, di fronte ai quali l’occidente ha sempre cercato una via diplomatica per mettere in campo la deterrenza, senza accorgersi che la mano tesa verso i professionisti del terrore in molti casi diventava, dalla parte dei terroristi e dei loro finanziatori, una strategia per prendere tempo prima del prossimo attacco.
A Gaza, l’Onu ha chiuso gli occhi per anni di fronte a un gruppo di terroristi (Hamas) che ha utilizzato buona parte delle risorse umanitarie per preparare il suo 7 ottobre contro Israele. In Libano, l’Onu ha chiuso gli occhi per anni di fronte a un gruppo di terroristi (Hezbollah) che ha utilizzato la via diplomatica delle Nazioni Unite (Unifil) solo per riavvicinarsi in modo indisturbato al confine israeliano. In Cisgiordania, i campioni dell’umanitarismo si sono concentrati da anni sulla pericolosità dei coloni chiudendo gli occhi sul fatto che il terrorismo presente in quelle aree non ne è una conseguenza, ma la causa. In Yemen, i campioni dell’umanitarismo hanno osservato di buon occhio il passaggio degli houthi da terroristi a semplici combattenti che vi è stato negli ultimi anni, salvo poi doversi ricredere quando l’occidente libero, osservando i missili che arrivavano sul Mar Rosso, ha capito che una milizia che ha al centro della sua dottrina la distruzione dello stato ebraico non è solo una minaccia per Israele ma è una minaccia per l’occidente intero.
E allo stesso modo, negli ultimi vent’anni, la strategia della diplomazia dinnanzi all’Iran ha portato non a un consolidamento della pace in medio oriente ma ha portato alla costruzione di un Iran che, oltre a utilizzare i ricavi derivati dalla vendita del petrolio nel mondo per finanziare i terrorismi del medio oriente, ha arricchito in modo indisturbato l’uranio delle sue centrali diventando per stessa ammissione dell’Aiea (ovvero dell’Onu) uno stato pronto a dotarsi di un’arma nucleare. La storia recente, vedi l’Ucraina, ha dimostrato che quando l’occidente libero trasforma la bandiera bianca nel suo tratto identitario per provare a raggiungere la pace, di solito l’effetto che si produce è l’opposto di quello sperato: gli aggrediti vengono trattati da aggressori, gli aggressori vengono trattati come aggrediti, e in nome di una tregua si arriva a prendere a schiaffi gli aggrediti coccolando gli aggressori, nella speranza che gli aggressori diventino improvvisamente delle colombe della pace.
Il pacifismo della bandiera bianca produce guerre. Il pacifismo della deterrenza crea conflitti momentanei ma può aiutare a prevenire guerre ancora più pericolose e letali. E provare a togliere a una teocrazia islamista le sue armi più pericolose non è la punta dell’iceberg di un’escalation pericolosa. E’ un tentativo di fermare l’unica escalation che l’occidente negli ultimi anni ha scelto di osservare con timidezza: quella portata avanti dai campioni del terrore non solo contro Israele ma anche contro l’occidente libero. E come ha giustamente ricordato ieri il Wall Street Journal, il 7 ottobre, 46 cittadini americani sono stati assassinati e 12 sono stati rapiti da Hamas, un gruppo terroristico finanziato dall’Iran. E con la deterrenza messa in campo contro l’arricchimento dell’uranio iraniano, gli Stati Uniti non hanno solo aiutato l’occidente ad avere un Iran più debole ma hanno ricordato che gli attacchi contro gli americani non possono restare senza risposta. Non è la legge del taglione, non è un’escalation, non è una deriva guerrafondaia. E’ l’unico modo per promuovere una via diplomatica con gli stati canaglia: usare la forza per arrivare alla pace. Make Iran Free Again. Per una volta, solo per oggi, forza Trump.