La spinta generata dall’incremento della spesa bellica sembra ormai affievolirsi, mentre i maggiori costi dovuti alla guerra iniziano a pesare. Lentamente e forse troppo tardi, l’economia della Russia sembra destinata a fare i conti con la realtà
La scorsa settimana dal Forum economico di San Pietroburgo, una dichiarazione inusuale ha riacceso l’attenzione sullo stato di salute dell’economia russa. Il ministro dell’Economia Maxim Reshetnikov ha infatti messo in guardia gli osservatori: “I numeri mostrano un rallentamento, ma osservare i dati odierni è come guardare l’economia attraverso uno specchietto retrovisore; sulla base di ciò che vedo, ho l’impressione che la Russia sia già sull’orlo di una recessione”. Una valutazione inaspettata dal ministro dell’Economia, se non la si interpreta nel contesto corretto. Da mesi infatti va in scena una lotta di potere tra alcuni consiglieri economici del presidente Putin, tra cui Reshetnikov, e la governatrice della Banca centrale russa Elvira Nabiullina. L’economista è alla guida della Banca centrale dal 2013, ed è riuscita a evitare la crisi finanziaria e valutaria rischiata dalla Russia nel 2022 per via delle pesanti sanzioni internazionali. Oggi la Banca centrale mantiene tassi di interesse elevatissimi, al 20 per cento, ridotti di appena un punto percentuale nell’ultimo incontro. Una scelta volta a rallentare la crescita dei prezzi – ancora però molto vicina al 10 per cento, più del doppio dell’obiettivo del 4 – ma che sta anche rendendo molto onerosi gli investimenti e i prestiti. Ecco spiegato il malumore di buona parte della classe imprenditoriale russa, che non può finanziarsi all’estero viste le sanzioni e dunque alimenta gli allarmi sullo stato dell’economia.
Vladimir Putin non si è per ora schierato in questa lotta di potere: ha confermato al suo posto Nabiullina, ma continua a circondarsi di consiglieri che promuovono una politica monetaria meno restrittiva. Una scelta che fa parte del suo stile di governo. Ma questo equilibrio potrà reggere a una sola condizione, posta dallo stesso Putin sempre dal Forum di San Pietroburgo: “Non deve essere permesso in alcun caso che la Russia cada in stagflazione o, peggio, in recessione”. I consiglieri economici, Nabiullina compresa, sono quindi stati messi in guardia.
L’economia russa aveva in effetti sorpreso tutti gli analisti nel corso dei primi anni di guerra. Invece che sprofondare in una lunga recessione, ha segnato tassi di crescita del pil vicini al 4 per cento sia nel 2023 che nel 2024. Tuttavia la spinta generata dall’incremento della spesa bellica sembra ormai affievolirsi, mentre i maggiori costi dovuti alla guerra iniziano a pesare. Le triangolazioni necessarie a bypassare le sanzioni infatti incrementano i costi della componentistica e della produzione. Come anche la scarsità di manodopera – Mosca mobilita oltre 40 mila uomini al mese – spinge verso l’alto i salari. Le stime di crescita per il 2025 si fermano attorno al 2 per cento, salvo peggioramenti improvvisi che possano concretizzarsi nella “recessione” evocata dal ministro dell’Economia. La stessa banchiera centrale Nabiullina ha avvertito che molte delle risorse che hanno sostenuto la crescita negli ultimi due anni ora sarebbero “esaurite”.
Ma i russi restano probabilmente in grado di finanziare la guerra per altri due o tre anni, più di quanto l’Ucraina possa resistere, specialmente in assenza del supporto statunitense. A meno che il mercato del petrolio non venga in soccorso di Kyiv. Sebbene i bombardamenti tra Iran e Israele abbiano riacceso le tensioni geopolitiche e i timori sullo Stretto di Hormuz, i fondamentali del mercato del petrolio rimangono deboli. Complici anche le politiche commerciali di Donald Trump, che hanno innescato un rallentamento economico globale. Secondo l’Agenzia internazionale dell’Energia, le scorte di petrolio sono aumentate per il terzo mese consecutivo, e la domanda cresce a un ritmo inferiore rispetto all’offerta. Anche per via del recente incremento della produzione deciso dall’Opec (a cui la Russia si era opposta, senza successo). I ricavi da gas e petrolio – essenziali per chiudere il bilancio pubblico di Mosca, che ne dipende per il 40 per cento – sono crollati di un terzo a maggio rispetto all’anno scorso e di oltre la metà rispetto ad aprile. Il deficit di bilancio previsto per la fine dell’anno dal ministero delle Finanze è salito all’1,7 per cento, in forte peggioramento. E per ripianarlo sarà necessario utilizzare le riserve del fondo sovrano. L’economia russa, lentamente e forse troppo tardi, sembra destinata a fare i conti con la realtà.