Vent’anni fa, l’analisi di Bernard Lewis sulla probabilità dell’atomica iraniana
Un “ebreo fortunato” nato in Inghilterra e per questo scampato all’Olocausto. Un giovane talmente grato alla madre patria britannica che si arruolerà come spia al Cairo per l’intelligence di Londra. Fu Bernard Lewis (1916-2018) già nel 1976, con un saggio comparso sulla rivista Commentary, ad aver anticipato “il ritorno della religione islamica come fattore politico di primaria importanza”. Tre anni dopo, puntualmente, si era verificata la rivoluzione di Khomeini in Iran. E fu Lewis a intuire che la teocrazia di Teheran, salutata in occidente come una benefica rivolta contro lo Scià, era invece un fenomeno totalitario. Fu sempre lui, mentre impazzava la new economy e Francis Fukuyama predicava la “fine della storia”, a capire che Osama bin Laden rappresentava un pericolo mondiale e, in un articolo del 1990, a coniare l’espressione “scontro di civiltà” che Samuel Huntington avrebbe reso popolare. Vent’anni fa, dalle colonne del Wall Street Journal, Lewis spiegò che non ci si poteva fidare del programma nucleare iraniano.
Durante la Guerra fredda, entrambe le parti possedevano armi di distruzione di massa, ma nessuna delle due le usò, scoraggiata da quella che era nota come Mad, distruzione reciproca assicurata. Simili vincoli ne hanno senza dubbio impedito l’uso nello scontro tra India e Pakistan. Ai giorni nostri, un nuovo scontro di questo tipo sembra profilarsi tra un Iran dotato di armi nucleari e i suoi nemici preferiti, definiti dal defunto ayatollah Khomeini il ‘Grande Satana’ e il ‘Piccolo Satana’, ovvero gli Stati Uniti e Israele. Contro gli Stati Uniti, le bombe potrebbero essere lanciate da terroristi, un metodo che ha il vantaggio di non avere un indirizzo di ritorno. Contro Israele, l’obiettivo è abbastanza piccolo da poter indurre l’Iran ad annientarlo con un bombardamento diretto.
Sembra sempre più probabile che gli iraniani abbiano o avranno presto a disposizione armi nucleari, grazie alle loro ricerche (iniziate circa quindici anni fa), ad alcuni dei loro compiacenti vicini e ai sempre disponibili governanti della Corea del Nord. Il linguaggio usato dal presidente iraniano Ahmadinejad sembrerebbe indicare la realtà e, di fatto, l’imminenza di questa minaccia.
Gli stessi vincoli, lo stesso timore di una distruzione reciproca assicurata, impedirebbero a un Iran dotato di armi nucleari di usare tali armi contro gli Stati Uniti o contro Israele?
Esiste una differenza radicale tra la Repubblica Islamica dell’Iran e altri governi dotati di armi nucleari. Questa differenza si esprime in quella che può essere descritta solo come la visione apocalittica del mondo degli attuali governanti iraniani. Questa visione del mondo e queste aspettative, vividamente espresse in discorsi, articoli e persino libri di testo, plasmano chiaramente la percezione e, di conseguenza, le politiche di Ahmadinejad e dei suoi discepoli.
Anche in passato era chiaro che i terroristi che affermavano di agire in nome dell’Islam non avevano scrupoli a massacrare un gran numero di musulmani. Un esempio degno di nota fu l’attentato alle ambasciate americane in Africa orientale nel 1998, in cui morirono alcuni diplomatici americani e un numero molto maggiore di passanti locali non coinvolti, molti dei quali musulmani. Numerose altre vittime musulmane furono vittime dei vari attacchi terroristici degli ultimi 15 anni.
L’espressione ‘Allah riconoscerà i suoi’ viene solitamente usata per spiegare questa apparente indiffere nza; significa che mentre le vittime infedeli, cioè non musulmane, andranno incontro a una meritata punizione all’inferno, i musulmani saranno mandati direttamente in paradiso. Secondo questa visione, gli attentatori stanno di fatto facendo un favore alle loro vittime musulmane, offrendo loro un rapido accesso al paradiso e alle sue delizie – le ricompense senza le fatiche del martirio. I libri di testo scolastici dicono ai giovani iraniani di essere pronti per una lotta globale finale contro un nemico malvagio, chiamato Stati Uniti, e di prepararsi ai privilegi del martirio.
Un attacco diretto contro gli Stati Uniti, sebbene possibile, è meno probabile nell’immediato futuro. Israele è un obiettivo più vicino e più facile, e Ahmadinejad ha dato segno di pensare in questa direzione. L’osservatore occidentale penserebbe immediatamente a due possibili deterrenti. Il primo è che un attacco che annienta Israele eliminerebbe quasi certamente anche i palestinesi. Il secondo è che un simile attacco provocherebbe una rappresaglia devastante da parte di Israele contro l’Iran, poiché si può certamente supporre che gli israeliani abbiano predisposto le necessarie misure per un contrattacco anche dopo un olocausto nucleare in Israele.
Il primo di questi possibili deterrenti potrebbe ben preoccupare i palestinesi, ma a quanto pare non i loro fanatici sostenitori nel governo iraniano. Il secondo deterrente – la minaccia di una ritorsione diretta contro l’Iran – è, come notato, già indebolito dal complesso di suicidio o martirio che affligge alcune parti del mondo islamico oggi, senza eguali in altre religioni, o peraltro nel passato islamico. Questo complesso è diventato ancora più importante oggi, a causa di questa nuova visione apocalittica.
Nell’islam, come nell’ebraismo e nel cristianesimo, esistono alcune credenze riguardanti la lotta cosmica alla fine dei tempi: Gog e Magog, l’Anticristo, Armageddon e, per i musulmani sciiti, il tanto atteso ritorno dell’Imam Nascosto, che si concluderà con la vittoria finale delle forze del bene sul male, qualunque sia la loro definizione. Ahmadinejad e i suoi seguaci credono chiaramente che questo momento sia adesso, e che la lotta finale sia già iniziata e sia anzi in fase avanzata.
Un passaggio dell’ayatollah Khomeini, citato in un libro di testo iraniano per l’undicesimo anno di scuola, è rivelatore. “’Annuncio con fermezza al mondo intero che se i divoratori del mondo [cioè le potenze infedeli] vorranno opporsi alla nostra religione, noi ci opporremo a tutto il loro mondo e non cesseremo fino alla loro completa distruzione. O diventeremo tutti liberi, o raggiungeremo la libertà più grande che è il martirio’.
In questo contesto, la distruzione reciproca assicurata, il deterrente che ha funzionato così bene durante la Guerra fredda, non avrebbe alcun significato. Alla fine dei tempi, ci sarà comunque la distruzione generale. Ciò che conterà sarà la destinazione finale dei morti: l’inferno per gli infedeli e il paradiso per i credenti. Per le persone con questa mentalità, la Mad non è una costrizione; è un incentivo.
Come si può allora affrontare un simile nemico, con una tale visione della vita e della morte? Alcune precauzioni immediate sono ovviamente possibili e necessarie. A lungo termine, sembrerebbe che la migliore, forse l’unica speranza, sia quella di rivolgersi a quei musulmani, iraniani, arabi e altri che non condividono queste percezioni e aspirazioni apocalittiche e si sentono minacciati quanto noi, anzi, più di noi. Devono essercene molti, probabilmente addirittura la maggioranza nelle terre dell’islam. Ora è il momento per loro di salvare i loro paesi, le loro società e la loro religione dalla follia della Mad”.
(Traduzione di Giulio Meotti)