Al tramonto è la nostra idea di occidente. Conversazione con Anne Applebaum

“Rimarranno i legami economici, ma oggi non è possibile un’alleanza autentica con chi governa in America e vede l’Europa con ostilità”. Trump, Putin e le destre xenofobe. Israele e l’Ucraina che salverà l’Europa

Nel marzo del 2016, negli ultimi mesi della presidenza Obama, Anne Applebaum scrisse un editoriale sul Washington Post nel quale si chiedeva se fossimo “vicini alla fine dell’Occidente” Era chiaro a tutti che Donald Trump avrebbe vinto le primarie dei repubblicani, ma erano pochissimi, sia nel mondo intellettuale che a Washington, a pensare che sarebbe potuto arrivare alla Casa Bianca. Obama aveva deciso di privilegiare Hillary Clinton come candidata dei democratici rispetto al suo vicepresidente Joe Biden e tutto sembrava presagire un suo trionfo. L’editoriale venne accolto con sconcerto quando Anne Applebaum scriveva: “Ci sono solo due o tre brutte elezioni che ancora ci separano dalla fine della Nato, dalla fine dell’Europa europea e forse anche dalla fine dell’ordine mondiale liberale. Per una miscela di supponenza e miopia, le reazioni furono all’impronta del sussiego, persino della derisione.

A nove anni di distanza, e dopo sei mesi della seconda presidenza Trump, quelle parole rivelano la straordinaria lucidità di un’autrice che oggi è in prima fila nella difesa dell’Ucraina dall’aggressione russa: “Ne va della libertà dell’intera Europa”, mi ha detto, con tono cupo. E’ una donna carismatica e consapevole della propria autorevolezza, in grado di svariare su diversi campi con insospettabile eclettismo. Ha scritto ad esempio con assoluta competenza anche di cinema, come nel caso del magnifico saggio pubblicato dalla New York Review of Books su Katyn, il film di Andrzej Wajda dedicato al massacro di migliaia di polacchi per mano dei soldati sovietici nel periodo in cui Stalin era alleato di Hitler. Ed è consapevole che la storia è un susseguirsi di orrori e che il tentativo di decifrarla è spesso impossibile: meglio limitarsi a raccontarla, partendo dal presupposto che la fragilità umana guida ogni scelta e ogni momento cardine. E’ la lucidità di questo approccio che l’ha portata a scrivere Gulag. Storia dei campi di concentramento sovietici, per il quale è stata insignita del premio Pulitzer, al quale hanno fatto seguito almeno due testi imperdibili sulle crisi della democrazia: Il tramonto della democrazia. Il fallimento della politica e il fascino dell’autoritarismo, del 2022, e Autocrazie. Chi sono i dittatori che vogliono governare il mondo, uscito lo scorso anno. La sua riflessione sul totalitarismo è andata di pari passo con la denuncia del putinismo, in virtù della quale è entrata a far parte della lista dei 200 americani a cui è negato l’ingresso in Russia per via della loro “promozione della campagna russofobica” e del loro “supporto al regime di Kyiv”. Nel tentativo di demonizzare la sua personalità ha avuto certamente un ruolo il matrimonio con Radoslaw Sikorski, uomo politico polacco, che attualmente riveste il ruolo di ministro degli Esteri del suo paese, nel quale Anne Applebaum si è trasferita a vivere nel 2006.

“Quanto sta succedendo in America è solo parte di un fenomeno molto più grande – mi spiega – e sono molto colpita da come in Europa siano stati sottovalutati segnali evidenti di una crisi che sta avendo conseguenze tragiche”.


A dicembre del 2019, terzo anno della prima presidenza Trump, lei ha scritto sull’Atlantic: “Nel Ventunesimo secolo dobbiamo affrontare un nuovo fenomeno: intellettuali di destra, ora profondamente critici delle rispettive società, che hanno cominciato a corteggiare dittatori di destra che detestano l’America”.

“Anche in questo caso non si tratta di un fenomeno esclusivamente americano: qualcosa di simile avviene nel Regno Unito e anche in Italia. Soprattutto negli ultimi vent’anni in molte di queste nazioni si è verificato un crescente disincanto nei confronti del proprio paese e stiamo parlando di realtà che cambiano drasticamente sul piano demografico, sociale e culturale. Quando si analizzano queste nuove società, che continuano a cambiare, viene usato spesso un linguaggio che in passato era patrimonio della sinistra. Nel caso della destra più estrema, compaiono anche giudizi violenti nei confronti di un mondo che è visto sempre più come un luogo malato e degenerato”.

Il patriarca ortodosso Kirill ha detto che il conflitto in Ucraina è una lotta metafisica contro paesi che organizzano il Gay Pride e quindi rappresentano il regno del male.

“Questo dimostra l’entità del fenomeno, rispetto al quale non si può rispondere soltanto con sanzioni economiche, e nemmeno unicamente sul piano militare. Le motivazioni di Putin ovviamente non sono religiose, ma le parole del patriarca hanno un enorme peso sulla popolazione: per i credenti la dimensione metafisica non si può combattere sul piano materiale e ricordo che Papa Francesco stigmatizzò l’atteggiamento di Kirill”.

Lo definì un chierico.

“Aveva capito meglio di molti altri cosa c’era in gioco”.

Cosa pensa del nuovo Papa, il primo americano?

“Per una strana coincidenza è stato eletto nel momento in cui mi trovavo collegata in diretta con una trasmissione televisiva italiana: hanno immediatamente cominciato a farmi ogni tipo di domanda, ma io riconosco che in quel momento non sapevo nulla di Robert Prevost. Poi mi sono documentata e la cosa che mi ha colpito maggiormente e favorevolmente è il passato da missionario: la sua storia è tutta dalla parte dei diseredati. Mi auguro che non si lasci trascinare nel gioco della politica, perché l’autorevolezza di un pontefice va ben oltre. Ho la sensazione che abbia la statura per essere un punto di riferimento sul piano etico, e anche per quanto riguarda il bilanciamento della ricchezza. Aggiungo infine che un elemento da non sottovalutare è il fatto che la sua prima lingua è l’inglese”.

Citando Julian Benda, lei ha definito gli intellettuali asserviti al potere come chierici, lo stesso termine usato da Papa Francesco. Cito testualmente: “Hanno tradito il ruolo centrale degli intellettuali, la ricerca della verità (…) difendono invece i loro leader, sebbene le loro dichiarazioni siano disoneste, grande la loro corruzione e disastroso l’impatto sulla gente comune e sulle istituzioni”.

“Il fenomeno degli intellettuali asserviti al potere è vecchio quanto la storia, ce ne sono esempi nell’antica Roma. E si tratta di un fenomeno che ha toccato sia la sinistra che la destra: un asservimento al leader o al partito diventa particolarmente odioso per la supponenza con cui costoro si sentono culturalmente o moralmente superiori quando invece vogliono soltanto più potere”.

Quanto ha scritto nel 2016 sulla fine dell’occidente purtroppo sembra avverarsi.

“Quello che sta finendo è il concetto di occidente per come lo abbiamo conosciuto: rimarranno i legami economici, ma oggi non è possibile un’alleanza autentica con una parte consistente di chi governa in America che vede l’Europa con ostilità. Temo che ci vorranno molti anni per recuperare il danno che è stato fatto. Questa nuova realtà va valutata all’interno di quanto sta avvenendo in Europa, dove parallelamente sono diventati molto forti partiti xenofobi come Legge e Giustizia in Polonia, Reform Uk nel Regno Unito, AfD in Germania, il Partito della libertà in Austria e la Lega in Italia. La riflessione non può prescindere dalla difficoltà di raggiungere la tanto decantata meritocrazia, specie nei paesi dell’Est Europa, oppressi per decenni dal comunismo”.

Qual è a suo avviso il motivo della rottura fra Trump e Musk?

“Oltre alle personalità straripanti e alle divergenze sulle spese governative sono due autocrati con una differente impostazione di fondo che inevitabilmente li ha fatti entrare in contrasto: Musk rappresenta la versione estrema di un capitalista, mentre Trump è in primo luogo un uomo istintivo, che vuole proiettare sempre l’immagine del vincitore. Inoltre è anche un populista, che deve tener conto anche della parte più povera del suo elettorato”.

Secondo lei l’Europa può rafforzarsi in reazione alle decisioni autarchiche di Trump?

“Nonostante tutte le contraddizioni, l’Europa è oggi il luogo più sicuro nel quale investire: da un punto di vista fiscale è stabile e può attirare gli scienziati e gli artisti danneggiati o in fuga dalla politica di Trump”.

Le reazioni all’invasione russa dell’Ucraina hanno registrato però numerosi distinguo.

“In questo caso penso che sarà l’Ucraina a salvare l’Europa, grazie all’eroismo con il quale si sta difendendo”.

Molti tra coloro che ho intervistato finora hanno sostenuto che Trump deve parte del successo al fatto di apparire una reazione alle degenerazioni della cancel culture, il woke e la correttezza politica.

“Direi che è stato lui a presentarsi, anzi a mettersi sul mercato, come paladino di questa battaglia: ha intuito che c’era uno spazio, e ha esagerato in maniera grottesca il pericolo di quelle degenerazioni. Ma ora, con il suo avvento, stiamo vedendo quali sono i rischi autentici, di ben altro tipo”.

Lei ha scritto ripetutamente sulla disinformazione, non solo in Unione Sovietica e oggi in Russia. C’è modo di combattere quella che l’Amministrazione del primo governo Trump definì “verità alternative”?

“Si tratta di un altro fenomeno antico come il mondo, ma purtroppo oggi chi propala le fake news ha mezzi estremamente più efficaci”.

Qual è il suo giudizio sull’attacco israeliano all’Iran?

“Innanzitutto è bene ricordare che l’Iran è insieme alla Russia il paese più pericoloso, malvagio e oppressivo del pianeta, e che arricchire l’uranio al 60 per cento, rispetto a un normale 4 per cento, significa preparare l’atomica: non riuscirò a essere triste se l’attuale regime dovesse cadere ed è evidente il legame anche con Hamas. Qualunque sia la nostra valutazione su Israele non dobbiamo mai dimenticare che si tratta di una democrazia, dove ogni giorno c’è una manifestazione contro il governo, e questo, al netto di molti orrori, è un segno di libertà. A prescindere da Netanyahu questa democrazia, complicata e contraddittoria, è condizionata oggi da orribili ministri di estrema destra, ed è evidente che la legittima reazione all’abominio del 7 ottobre è stata esagerata, grazie anche alla debolezza americana”.

E’ d’accordo con chi afferma che solo un disastro economico può mettere in crisi Trump?

“Mi auguro che il paese non debba pagare anche questo scotto, ma qualcosa deve succedere: solo per fare un esempio, i tagli alla ricerca per il cancro sono gravissimi. Provi a mettersi nei panni di una persona malata che scopre che le ricerche sulla sua patologia sono state sospese: anche questo elemento tragico può mettere in crisi Trump”.

Chiedo a tutti come spiegherebbe il presidente a un bambino di dieci anni.

“Un bullo che vuole rubarti tutti i giocattoli. Non è una persona interessante perché non è complesso, a differenza di Vance, che ha elementi perfino più inquietanti”.

Nell’ambito del Festival “Le Conversazioni”, sabato 5 luglio Anne Applebaum sarà la protagonista dell’incontro con Antonio Monda in piazzetta Tragara, a Capri.

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