La presidenza Trump sta scommettendo sulla guerra?

Il presidente usa la dottrina della forza e sfida i suoi elettori anti-interventisti, promette la pace e nel frattempo prepara altri bersagli. Il mondo Maga dice: aspettiamo, ma si fida poco

La decisione del presidente Donald Trump, sabato, di colpire gli impianti di arricchimento nucleare dell’Iran è stata una scommessa straordinaria: eliminare un programma nucleare che ha tormentato più presidenti, evitando al contempo un altro lungo conflitto in medio oriente del tipo che lui e i suoi sostenitori hanno a lungo condannato.

Quel che accadrà adesso avrà conseguenze profonde per la sua presidenza. Se l’Iran sarà sufficientemente indebolito da non poter reagire in modo significativo, Trump avrà inflitto un colpo a un avversario storico, inviando un messaggio a Cina, Russia e ad altri rivali globali: non esiterà a usare la forza militare quando necessario.

Ma se l’Iran non accetterà la pace secondo i termini di Trump, la promessa del presidente secondo cui “ci sono molti altri obiettivi”, apre la porta a un conflitto molto più profondo e potenzialmente più lungo. E già questa prospettiva sta irritando alcuni membri della sua base politica.

La decisione di Trump di colpire l’Iran rappresenta un’inversione clamorosa per un presidente che ha costruito il proprio potere, un decennio fa, anche grazie al rifiuto della guerra in Iraq. Ha condannato l’ex presidente George W. Bush per quella guerra e ha promesso di non prosciugare le casse statunitensi per ingerenze estere che costavano vite americane e, secondo lui, non portavano alcun reale beneficio agli interessi degli Stati Uniti. Negli ultimi mesi, Trump sembrava talmente focalizzato su uno sforzo diplomatico con Teheran da preoccupare persino i falchi repubblicani ostili all’Iran.

Tutto questo è finito sabato, con un attacco a lungo raggio e condotto in modalità stealth, che ha utilizzato una delle bombe convenzionali più potenti dell’arsenale statunitense contro gli impianti nucleari iraniani, sepolti in profondità sotto le montagne.

In un discorso di tre minuti dalla Casa Bianca, sabato sera, Trump ha definito l’operazione “un successo militare spettacolare”.

“Le principali strutture di arricchimento nucleare dell’Iran sono state completamente e totalmente obliterate”, ha dichiarato.

Non ha dato alcuna indicazione di aver dispiegato truppe sul terreno.

Affiancato dal vicepresidente JD Vance, dal segretario di Stato Marco Rubio e dal segretario alla Difesa Pete Hegseth, Trump ha lanciato una minaccia chiara all’Iran: “Ci sarà o la pace, oppure una tragedia per l’Iran, ben più grave di quanto abbiamo visto negli ultimi otto giorni”, ha detto, avvertendo che gli Stati Uniti potrebbero spingersi molto oltre sulla via della guerra.

“Ci sono molti altri obiettivi”, ha aggiunto. “Se la pace non arriverà rapidamente, colpiremo anche quegli altri obiettivi con precisione, rapidità e abilità”.

Ma l’Iran ha una popolazione doppia rispetto all’Iraq, e un governo che da decenni dimostra capacità di proiezione del potere ben oltre i propri confini. Se dovesse colpire truppe o cittadini statunitensi, il conflitto potrebbe rapidamente intensificarsi — una delle ragioni per cui nessun presidente americano, prima di Trump, aveva mai tentato un attacco militare contro il programma nucleare iraniano.

“E’ stata una scommessa enorme da parte del presidente Trump, e nessuno sa ancora se darà i suoi frutti”, ha dichiarato il senatore Jack Reed (democratico del Rhode Island), massimo esponente del suo partito nella Commissione Forze Armate.

Gli ex presidenti Barack Obama e Joe Biden si trovarono di fronte a dilemmi simili con l’Iran e fecero una scelta diversa rispetto a Trump, anche se nessuno dei due si confrontò con un Teheran così indebolito come ora, dopo il crollo dei suoi proxy in Siria, Libano e Gaza. Quei presidenti, piuttosto che attacchi, cercarono una via diplomatica per limitare la capacità dell’Iran di costruire un’arma nucleare, temendo di essere trascinati in un conflitto indesiderato.

Sebbene Trump abbia detto che gli attacchi militari erano finalizzati a spingere l’Iran verso un accordo alle condizioni statunitensi, alcuni analisti hanno avvertito che Teheran difficilmente si piegherà sotto pressione.

“Gli Stati Uniti corrono un alto rischio di essere risucchiati in un’altra guerra per il cambio di regime, che potrebbe intrappolare gli USA in medio oriente per decenni”, ha scritto in un’email Rosemary Kelanic, direttrice del programma medio oriente del think tank Defense Priorities, con sede a Washington e promotore di un approccio militare più contenuto.

Se l’Iran risponderà, “la perdita di vite americane non farà che amplificare i tamburi di guerra per il cambio di regime”, ha aggiunto.

Se l’Iran manterrà una parte significativa delle sue capacità di arricchimento e delle sue scorte di uranio, l’attacco americano potrebbe persino indurre il governo iraniano ad avviare un vero programma per costruire una bomba nucleare. Secondo le agenzie di intelligence statunitensi, finora non lo ha fatto.

Il rifiuto pubblico delle guerre statunitensi in medio oriente ha giocato un ruolo fondamentale nell’ascesa di Trump. La sua avversaria democratica nel 2016, Hillary Clinton, aveva votato nel 2002 a favore dell’invasione dell’Iraq voluta da George W. Bush, quando era senatrice.

Vance sostenne quella guerra e si arruolò, ma tornò dalla missione profondamente disilluso.

Eppure, nel giro di appena nove giorni dai primi attacchi israeliani all’Iran, Trump ha mosso i primi passi verso un coinvolgimento in un conflitto simile — e ora dovrà dimostrare di avere un approccio migliore rispetto ai leader che aveva tanto criticato.

Vance, nel frattempo, era alle spalle di Trump sabato sera, con le mani giunte e la fronte corrugata, mentre il presidente dichiarava il successo dell’operazione di bombardamento.

Questa primavera, Trump aveva inviato il suo amico e inviato speciale Steve Witkoff a cercare un accordo con i leader iraniani — irritando e oscurando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante una visita ad aprile nello Studio Ovale.

Ma la campagna ventennale di Netanyahu a Gaza e contro i proxy iraniani nella regione aveva ormai ridotto la forza di Teheran ai minimi storici, e sabato è parso che il leader israeliano sia finalmente riuscito a convincere Trump a unirsi alla sua battaglia contro l’Iran.

Secondo un alto funzionario della Casa Bianca, che ha parlato in condizione di anonimato, l’Amministrazione Trump aveva informato in anticipo il governo israeliano dell’attacco. Trump e Netanyahu si sono parlati dopo l’operazione. Nel suo discorso, Trump ha definito Stati Uniti e Israele una “squadra”.

Netanyahu ha ricambiato il favore: “La storia registrerà che il presidente Trump ha agito per negare al regime più pericoloso del mondo le armi più pericolose del mondo”, ha detto il leader israeliano la mattina di domenica. “La sua leadership ha creato una svolta storica che può guidare il medio oriente e non solo verso un futuro di prosperità e pace”.

Tra i membri più vocali della base di Trump, le reazioni all’attacco variavano: alcuni sostenitori preoccupati gli concedevano il beneficio del dubbio, altri affermavano che avesse commesso un errore grave. Gli attacchi hanno costretto alcuni dei suoi sostenitori, inclusi coloro che avevano lodato il suo impegno a evitare guerre in medio oriente, a riconoscere che ora potrebbe esserci finito dentro.

I commentatori MAGA di punta Stephen K. Bannon e Charlie Kirk — entrambi noti per aver messo in guardia contro una guerra con l’Iran, e che avevano incontrato Trump privatamente alla Casa Bianca questa settimana — sono andati in diretta per tutta la serata di sabato, cercando di capire le reazioni dei loro follower.

“Ci sono molti sostenitori MAGA che non sono contenti di questo. Sarò diretto: lo vediamo chiaramente nei commenti ora”, ha detto Bannon, riferendosi ai commenti infuriati lasciati sulle piattaforme streaming conservatrici.

“Molti scrivono: ‘Ti ascoltiamo, ma avevi promesso che non lo avresti fatto.’”

Bannon, come Kirk, ha esortato i suoi sostenitori a dare tempo a Trump per spiegarsi — e dimostrare che non ci saranno conseguenze negative a lungo termine per l’America.

“Un discorso interessante — non sono sicuro che fosse il discorso che i MAGA volevano sentire”, ha detto Bannon dopo le brevi dichiarazioni di Trump, che ha definito “molto aperte”.

Bannon ha detto che questa giornata passerà alla storia come quella in cui gli Stati Uniti “entrano come combattenti nella guerra tra Israele e Persia”.

Kirk ha dichiarato di fidarsi ancora dell’istinto di Trump, definendo il suo curriculum “fenomenale” e citando decisioni tattiche passate, come l’autorizzazione all’uccisione nel 2020 del generale iraniano Qasem Soleimani. Ha detto che Trump aveva esaurito tutti i canali diplomatici, ma ha anche sottolineato che la situazione potrebbe degenerare molto più rapidamente di quanto previsto.

“Quando entri in situazioni del genere, possono facilmente degenerare”, ha detto Kirk ai suoi ascoltatori sabato sera. “Abbiamo davvero eliminato completamente il programma nucleare iraniano? Non lo sappiamo”.

Kirk si è chiesto “quanti americani potrebbero finire nel mirino come risposta” e ha criticato quei repubblicani che festeggiavano i bombardamenti, dicendo: “Quando lo fai, non dovresti provare un brivido lungo la gamba”.

Un funzionario statunitense a conoscenza dell’operazione ha affermato che l’attacco ha coinvolto non solo bombardieri B-2, come ampiamente previsto, ma anche altri aerei, inclusi caccia. Numerose bombe da 30.000 libbre capaci di penetrare i bunker, note nell’Aeronautica come Massive Ordnance Penetrators, sono state sganciate, ha detto il funzionario in anonimato data la sensibilità dell’operazione.

Tutti riconoscono che Trump potrebbe subire un contraccolpo da parte dei suoi sostenitori più giovani.

“La Gen Z dice a gran voce: ‘Perché stiamo mettendo un altro Paese davanti ai nostri problemi interni?’”, ha detto Jack Posobiec, altro influente commentatore della destra americana.

Trump, tuttavia, ha sempre mostrato sentimenti contraddittori verso il potere militare. Sebbene abbia più volte dichiarato di voler vincere il Nobel per la pace e di voler concludere le guerre, non iniziarle, negli ultimi giorni ha messo in mostra una potenza militare che la maggior parte dei presidenti recenti ha evitato.

Solo una settimana fa, sorrideva mentre osservava una parata militare massiccia dell’esercito americano nel centro di Washington, per celebrare il 250° anniversario dell’Esercito. (Era anche il 79° compleanno di Trump.) Pochi giorni prima, aveva schierato Marines e Guardia Nazionale in California per reprimere le proteste contro i rastrellamenti di immigrati.

“Non c’è esercito al mondo che avrebbe potuto fare ciò che abbiamo fatto stasera”, ha detto Trump sabato. “Nemmeno vicino”.

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