Tutto quello che non avete mai osato chiedere sul disturbo dell’attenzione

Francien Regelink ha l’Adhd. Ma questo non lo sapeva quando era la bambina più turbolenta della classe. È fondamentale distinguere la distrazione estrema dal disturbo – che è un modo di “funzionare” diverso che in alcuni casi può a un “maladattamento” anche grave

Si fa fatica oggi, incontrandola, a immaginare che Francien Regelink fosse la bambina più turbolenta della classe. “Fin dall’infanzia mi sono sentita costretta a frenarmi e trattenermi; più̀ mi sforzavo, peggio era”, racconta. Quando arrivava lei alle feste i genitori degli altri nascondevano gli oggetti. “Una volta ho lanciato un palloncino pieno d’acqua contro la macchina fotografica della mamma della festeggiata. Si è infuriata. Mi ha agguantato per un braccio e ha urlato davanti a tutti: «Solo tu potevi fare una cosa del genere!»” Una frase che in seguito si è sentita ripetere spesso e che l’ha portata a dubitare di sé stessa. Francien ha l’Adhd, il disturbo dell’attenzione e iperattività, ma da bambina non aveva ancora la diagnosi, anche perché i genitori la accettavano “così com’era” e incoraggiavano il suo modo alternativo di gestire le situazioni. Crescendo ha frequentato una scuola sportiva, si è laureata, ma quando ha iniziato a lavorare i problemi con la funzione esecutiva (la capacità di programmare e suddividere i compiti in singole azioni) si sono manifestati più aggressivamente: “Non riuscivo mai a finire il lavoro che mi assegnavano, in ufficio vedevo che gli altri facevano molto di più, mentre io tutto il giorno venivo distratta, anche dalle relazioni sociali, è facile per me parlare con tutti”.



La maggior parte del lavoro lo svolgeva una volta tornata a casa, dopo le otto di sera. “Sono sia mattiniera che notturna, è la giornata il mio problema, le ore di luce”. Alla base dell’Adhd c’è una mancata capacità del cervello di filtrare gli stimoli. Luci, rumori, insieme a tutte le idee e pensieri che non si riescono a controllare o organizzare in una gerarchia, rendono la vita molto faticosa. “A volte mi metto a lavorare al buio sotto la scala antincendio, ma non andare in ufficio non è una soluzione, ho bisogno di giornate strutturate”. Ci sono gradi molto diversi di “gravità”, che dipende anche dalle risorse a cui si riesce ad accedere, farmaci e terapie comportamentali. L’impulsività è un’altra caratteristica ricorrente, e può portare a comportamenti distruttivi, all’abuso di sostanze. Nel suo memoir Strafare. La mia vita (irre)quieta con l’Adhd (Le plurali), Francien racconta in modo dettagliato sia i farmaci che le sono stati prescritti, sia le droghe ricreative che ha sperimentato, a volte traendo inaspettati benefici.

Non incoraggia il consumo di droghe ma spera che la ricerca farmacologica metta a punto sostanze sicure e più efficaci di quelle disponibili in Olanda, che sono comunque molte di più rispetto a quelle disponibili in Italia, dove esiste solo una molecola approvata, il Metilfenidato. L’Adhd è una parola di moda, e l’autrice chiarisce l’obiezione “oggi ce l’hanno tutti”. Una cosa è la distrazione, anche estrema, un’altra il disturbo. Non è una “malattia”, ma un modo di funzionare diverso che in alcuni casi può portare a un “maladattamento” anche grave – non riuscire a gestire le incombenze della vita adulta, non essere mai indipendenti. E’ difficile immaginare che Francien abbia corso questi rischi perché oggi è una donna di trentotto anni che fa l’imprenditrice ed è un’autrice di successo – questo, che in Olanda ha venduto 40.000 copie, è il suo secondo libro. Ma il suo successo deriva anche da un insieme di strategie messe a punto faticosamente e spiegate nel memoir in modo divertente ma preciso.


Illuminante per chi sospetta di avere l’Adhd, per chi ha a che fare con qualcuno che ce l’ha, è un libro molto interessante anche per chi è semplicemente incuriosito dal tema dell’attenzione.

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