Il regime isola gli iraniani, che non possono più parlarsi tra loro. La stampa vicina ai pasdaran parla della necessità di “prevenire gli abusi”, ma nel 2019 le forze di sicurezza uccisero più di 1.500 persone che manifestavano contro l’imposizione di un blocco simile
Da quarantotto ore l’Iran è tagliato fuori dalla rete. Impossibile controllare le notizie su Bbc Persian o Iran International, impossibile gestire il conto bancario, ordinare la farina su Dijikala, prenotare un passaggio su Snapp, utilizzare un Gps e soprattutto mandare un messaggio a un genitore per dirgli che si è vivi quando un missile colpisce vicino. “È come se il cielo ci avesse tutti risucchiato e sputato in un pianeta deserto”, ha detto a Radio Farda una donna in fuga da Teheran approdata in Armenia. Dopo una settimana in cui i blocchi e i rallentamenti della connettività sono stati costanti, nelle ultime ore sistemi di monitoraggio del web come Cloudfare radar e Netblocks hanno certificato che il blackout al momento è “pressoché totale”. Totale in questo caso significa che sono stati colpiti anche i servizi legati alla telefonia mobile e in maniera crescente anche a quella fissa.
E’ anche impossibile connettersi attraverso le popolarissime vpn (virtual private network), le reti private virtuali a cui si affidano milioni di persone per mascherare l’indirizzo IP e aggirare la censura. Un portavoce del governo iraniano ha confermato che l’accesso a internet è stato effettivamente “ristretto” al fine di agevolare l’intercettazione dei droni israeliani da parte dei sistemi di difesa aerea.
Un’altra versione, stavolta sposata dall’agenzia di stampa Khabar punta invece alla necessità di “prevenire gli abusi”, in linea con Tasnim, l’organo di stampa affiliato ai pasdaran, che giovedì scorso ha invocato il blackout totale per fermare (oltre ai droni) anche gli attacchi informatici. Tutto questo mentre i funzionari pubblici vengono invitati a non utilizzare apparecchi connessi alla rete, pena il rischio di essere spiati dal nemico, e la televisione di stato lancia appelli contro WhatsApp, rea di passare a Israele i dati degli utenti secondo la vulgata della propaganda. Incidentalmente, per dare l’idea della distanza siderale tra il regime e gli iraniani, mentre la finestra sul mondo di 90 milioni di persone veniva sigillata a doppia mandata, l’ex ministro degli esteri Javad Zarif trovava il tempo di lamentarsi, non che ai connazionali fosse impedito di lavorare e comunicare tra loro, di ricevere avvertimenti riguardo ai bombardamenti e indicazioni riguardo alle vie di fuga, ma piuttosto che fosse scomparsa la spunta blu dal suo account X.
Limitare e controllare il più possibile il flusso di informazioni è sempre stato un obiettivo costante per la Repubblica islamica, dall’abbattimento delle antenne paraboliche negli anni Ottanta e Novanta all’odierna crociata contro le vpn. Ma è nei momenti di crisi che l’isolamento a cui il regime condanna i suoi cittadini si fa più pervicace e sinistro, basti pensare a cosa accadde durante le manifestazioni del 2019 quando venne imposto un altro blackout e le forze di sicurezza uccisero più di 1.500 persone.
In questo fase, mentre a Teheran la parola cambio di regime è sulla bocca di tutti, è più che mai evidente che oltre alla necessità di dispiegare quanti più mezzi per plasmare attraverso la controinformazione una visione il più possibile nazionalista e anti imperialista del conflitto, si impone con altrettanta forza il bisogno di evitare il rischio di una sollevazione popolare, come ha notato in un’intervista a Radio Farda l’esperto di cybersecurity Mamadou Babaei.
A questo bisogna aggiungere che l’auspicio delle autorità è anche che la stretta nei confronti della rete globale spinga gli iraniani a virare verso un’alternativa autoctona come Nin (National information network). “Se necessario ci sposteremo su intranet – ha puntualizzato un portavoce del governo – questa è una decisione che prenderemo per la nazione, per il bene e per la sicurezza della popolazione”.
Ma il bene invocato è chiaramente tutto a beneficio del regime. Stando a un rapporto di Freedom house, la rete interna prevede “livelli” di accesso differenziato al web, in modo da consentire alle censura di oscurare contenuti ritenuti pericolosi e spingere gli utenti verso applicazioni meno solide sul fronte della privacy e della sicurezza. E’ anche in questo senso secondo Amir Rashidi, direttore dei diritti digitali e della sicurezza presso l’organizzazione per i diritti umani Miaan group, che vanno letti i blackout. Tra le app di messaggistica più chiacchierate del momento ad esempio c’è Bale, “che è ospitata su Nin, e potrebbero funzionare anche durante i blocchi”, ha spiegato Rashidi a Wired.