Parla il candidato dell’opposizione venezuelana costretto all’esilio dal regime di Maduro: “Un esperimento populista è degenerato in un regime autoritario con il controllo totale dei poteri pubblici, la persecuzione politica e la soppressione delle libertà. Così le democrazie possono essere minate dall’interno”
La “mezza pera” del Premio Luigi Einaudi risale al famoso aneddoto dell’allora presidente che, cenando con Ennio Flaiano, gli propose di dividere un frutto in due ed è il riconoscimento conferito dalla Fondazione Luigi Einaudi a figure che si sono distinte per il loro contributo agli ideali di libertà, responsabilità e impegno civile. Quest’anno il premio è andato a Edmundo González Urrutia, il candidato della opposizione venezuelana al quale il regime di Maduro ha impedito di insediarsi come presidente malgrado la vittoria alle elezioni dello scorso 26 luglio, costringendolo all’esilio. “Ricevere il Premio non è solo un onore personale, ma anche un riconoscimento alla lotta democratica del popolo venezuelano. Questa onorificenza simboleggia la solidarietà dell’Italia con i cittadini che, nonostante la repressione, continuano a difendere i propri diritti. In un momento così importante, avere un’istituzione con l’eredità liberale e repubblicana della Fondazione Einaudi che ci guarda con attenzione e speranza è un prezioso incoraggiamento”, dice al Foglio González Urrutia.
Nel suo discorso di ringraziamento, ha osservato che la libertà e la democrazia non sono mai una conquista definitiva. Il Venezuela di Chávez è stato il primo dei troppi esempi di regressione autoritaria a cui abbiamo assistito nel XXI secolo? “Sì, si potrebbe dire che il processo venezuelano è stato pioniere in questa tendenza”, dice. “Quello che era iniziato come un esperimento populista è degenerato in un regime autoritario con il controllo totale dei poteri pubblici, la persecuzione politica e la soppressione delle libertà. Purtroppo, abbiamo visto come questo modello sia servito da riferimento per altre esperienze autoritarie nella regione e oltre. Il Venezuela è stato un primo segnale di come le democrazie possano essere minate dall’interno”.
La descrizione dell’implosione è questa, secondo González Urrutia: “Maduro mantiene il suo potere attraverso mezzi repressivi e un apparato istituzionale sotto sequestro. Manca di legittimità democratica e la mancanza di riconoscimento da parte di gran parte della comunità internazionale è un riflesso di tale illegittimità. Ma la vera fonte della sua debolezza risiede nel rifiuto della maggioranza del popolo”. Chi prova a telefonare in Venezuela riscontra una crescente paura a rispondere, perché “la repressione si è intensificata. Stiamo vivendo uno stato di crescente sorveglianza e persecuzione. La paura è reale, ma lo è anche il coraggio di coloro che, nonostante tutto, continuano a lottare”. Facciamo una breve digressione sul medio oriente: “I regimi autoritari spesso formano alleanze basate su interessi comuni – dice – L’Iran è stato uno degli alleati strategici del chavismo. Gli eventi in quel paese hanno implicazioni sia geopolitiche sia economiche per il Venezuela”.
C’è ora il caso di Gregory Sanabria, il prigioniero politico torturato dal regime di Maduro e detenuto dall’agenzia americana per l’immigrazione, l’Ice. “Un caso doloroso – dice González Urrutia – Abbiamo chiesto alle autorità statunitensi di considerare la sua storia e il suo status di vittima di persecuzione politica. I migranti venezuelani meritano protezione, non criminalizzazione”. Tra coloro che ora sono detenuti per ragioni politiche ci sono anche suoi familiari, “Rafael Tudares, mio genero, per esempio: è una strategia inaccettabile di intimidazione personale e collettiva. Non solo io, ma decine di famiglie venezuelane sono sottoposte a questo schema in cui il regime usa il dolore come strumento di controllo. Ma, lungi dall’indebolirci, ciò rafforza il nostro impegno”.
Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, ha dedicato questo premio ad Alberto Trentini, e González Urrutia ha ricordato anche altri detenuti politici in Venezuela di cittadinanza italiana. “Il regime usa la detenzione arbitraria come forma di ricatto e controllo, sia a livello nazionale sia internazionale. La politica degli ostaggi è un modo crudele per inviare un messaggio: nessuno è al sicuro. Ma il caso dei cittadini europei o di coloro che hanno doppia cittadinanza dovrebbe mobilitare i governi europei affinché adottino una posizione più ferma. Non si può negoziare con la libertà e la dignità umana”.