La sinistra e l’Iran visto dal divano, un vecchio amore che ritorna

Su social e talk-show riemerge un vecchio legame ideologico tra una certa sinistra e il regime iraniano. Dall’entusiasmo per la rivoluzione del ’79 all’indulgenza verso i mullah di oggi, il disincanto non è mai arrivato

Siano benedetti i social, grande macchina di disincanto sulle sorti dell’umanità, che ogni giorno ci rovesciano tutto il consenso spontaneo e italianissimo per le tirannie, purché gridino morte all’America, all’occidente, a Israele, e dunque anche a noi. Siano benedetti i talk-show, che nella loro follia televisiva fanno venire fuori i vecchissimi tic della sinistra, sempre gli stessi da settant’anni. Ecco Ginevra Bompiani che esalta la celebre superiorità morale dell’Iran e spiega che lo Stato più pericoloso al mondo è “la teocrazia di Israele”. Ecco Rayhane Tabrizi, attivista iraniana, che a La7 dice “il regime di Teheran è il Male Assoluto del medio oriente” ma Angelo Bonelli sbuffa, alza gli occhi al cielo, la prende sul personale come avessero offeso lui: ma che esagerazione! Che ne vorrà sapere questa? La causa iraniana andava bene fino a un mese fa. Andava bene naturalmente solo a distanza, nelle fantasie di Instagram, nel bovarismo dell’Impegno, tagliandosi ciocche di capelli, mettendo coccarde e stemmini nei red carpet. Guai però se il regime si butta giù sul serio e nell’unico modo in cui si può buttare giù.

La sinistra e la realtà sono due rette parallele che non si incontrano mai e si perdono in un campo largo. Che la polizia morale continui pure a impiccare i giovani iraniani in santa pace, se ne occuperà il diritto internazionale, si dice col ditino puntato contro noialtri che confidiamo invece nelle magnifiche e progressive sorti del Mossad (che avrebbe dovuto eliminare Khomeini molti anni fa e se ora gli riesce il colpo con Khamenei la prendiamo solo come una piccola rivincita). Ecco una marea di post di chi è seriamente convinto che l’Iran sia solo un modo per distogliere l’attenzione da Gaza (il famoso diversivo nucleare), o di chi mette sullo stesso piano l’invasione dell’Ucraina e l’attacco agli ayatollah (“che differenza c’è? Aggredito-aggressore, chiaro no?”). E sono cose scritte però non da scappati di casa, ma editorialisti, professori universitari, conduttori televisivi. Non ringrazieremo mai abbastanza i social per farci scoprire ogni giorno quante persone con cattedre e titoli di studio altisonanti difendano il più grande sponsor del terrorismo internazionale da mezzo secolo, oppure rimpiangono quella vasta prigione a cielo aperto che era il comunismo sovietico, perché “almeno era un’alternativa al capitalismo” (si legge anche questo nel 2025). “Si sono inventati la storia dell’atomica per invaderli!” Oppure, “perché l’Iran non dovrebbe avercela?” e ancora “l’Iran non ha mai minacciato con un’arma Israele”, scrive Rula Jebreal ormai in quota “non ha mai fatto male a una mosca”. Ma in effetti è vero: non c’era mica bisogno di specificare l’arma quando Khomeini diceva “il tumore sionista sarà eliminato per sempre”, o Ahmadinejad, grande fan del programma nucleare, spiegava che “Israele sarà cancellato dalla cartina geografica”. E chissà come lo cancelleranno? Col bianchetto? Photoshop? All’epoca avevamo ancora un po’ d’immaginazione.


Quella della distruzione di Israele, appendice dell’imperialismo americano, è sempre stata un’idea fissa, una sincera vocazione della Repubblica Islamica. Ma tra la sinistra radicale e l’Iran del ’79 fu amore a prima vista, con quegli accalorati reportage che Michel Foucault scriveva per il Corriere della Sera da Teheran all’alba della Rivoluzione, sperando che lì tra gli ayatollah potesse nascere il nuovo “Ottobre”, la liberazione dal capitalismo, la fine dell’occidente corrotto e borghese. Ed è questo vecchio amore che ritorna sempre, come quello ancora più antico per la Russia che non tramonta mai. Era chiaro dopo l’Ucraina. Era chiaro dopo il 7 ottobre, con la facilità con cui prendeva piede la causa di Hamas e l’idea di una resistenza eroica e legittima. E’ ancora più chiaro ora dopo l’attacco in Iran, per far crollare uno dei regimi più odiosi. Così, mentre tanti palestinesi scendono in strada per liberarsi di Hamas, mentre gli hacker iraniani invitano il popolo ad approfittare del momento e buttare giù il regime, noi qui dal divano gli spieghiamo quanto sono fortunati a non avere il perfido capitalismo che li opprime.

Bisognerebbe aggiornare il vecchio aforisma di Flaiano: italiani sempre pronti ad andare in soccorso dei vincitori, ma con tanti italiani che si dicono di sinistra sempre pronti ad andare in soccorso dei tiranni (e naturalmente qui in ottima compagnia con CasaPound, Forza Nuova, eccetera). Scemi noi che ci eravamo illusi che su certe cose potessimo ormai essere quasi tutti d’accordo: il fallimento storico, economico, morale di ogni comunismo, e la condanna dell’islamismo radicale, del jihad, del terrorismo internazionale che con le lotte di liberazione non ha nulla a che fare. E invece le due cose si sono saldate proprio mezzo secolo fa, nell’Iran di Khomeini, e poi da lì sono diventate il nuovo dogma di una sempre più vecchia sinistra.



Nel 2010, dopo che il regime iraniano aveva invitato a Teheran tutti i negazionisti della Shoah per una grande conferenza globale dal titolo programmatico (“Gli ebrei si sono inventati tutto?”), intervistarono Fidel Castro a Cuba: “Basta calunniare gli ebrei”, diceva Castro, “gli ebrei hanno vissuto un’esistenza molto più difficile della nostra. Non c’è nulla di paragonabile alla Shoah, ditelo a Ahmadinejad, la smetta di negare l’Olocausto e diffamare gli ebrei”. Quindici anni dopo, con gli standard di oggi, anche il Líder Máximo sarebbe visto di traverso. Troppo morbido con Israele. Un riformista del Pd.

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