Gli scandali di corruzione che travolgono il Psoe fanno mancare i voti alla legge sulla riduzione dell’orario di lavoro della vicepremier Yolanda Díaz, divenuta un simbolo per la sinistra italiana
Forse il governo di Pedro Sánchez sopravviverà anche a questa crisi, ma la prima vittima politica del grosso scandalo di corruzione che sta travolgendo il Partito socialista spagnolo (Psoe) è la riduzione dell’orario di lavoro. L’inchiesta su uno schema di tangenti in cambio di appalti, che inizialmente sembrava circoscritta, ha coinvolto prima José Luis Ábalos e ora Santos Cerdán, gli ultimi due segretari organizzativi del Psoe e uomini di fiducia del premier. Lo scandalo ha indebolito l’esecutivo e diviso una maggioranza frammentata, a cui ora mancano i numeri per approvare la legge simbolo della vicepremier Yolanda Díaz.
L’opposizione di centrodestra, Partito popolare (Pp) e Vox, non ha ancora i voti per far cadere il governo, ma Sánchez non ha più i voti per governare. Il suo esecutivo si regge sull’appoggio esterno di partitini di estrema sinistra, autonomisti e indipendentisti di sinistra e di destra, baschi e catalani. Ma ora inizia a perdere pezzi, proprio sulla principale promessa del patto progressista tra Psoe e Sumar, i partiti di Sánchez e Díaz.
Junts, il partito indipendentista della destra catalana guidato dal latitante o esiliato (a seconda dei punti di vista) Carles Puigdemont, ha presentato – come i suoi acerrimi nemici della destra nazionale (Pp) e nazionalista (Vox) – un emendamento soppressivo della legge che punta a ridurre l’orario di lavoro da 40 a 37,5 ore settimanali a parità di salario. E questo sposta gli equilibri politici. I tre partiti, incompatibili per costituire una coalizione di governo, formano però una maggioranza contraria alla legge-bandiera del fronte progressista.
Il ministro del Lavoro Yolanda Díaz ha lavorato quasi un anno a questo progetto di legge, riuscendo a trovare il sostegno dei sindacati ma non delle organizzazioni datoriali, fortemente contrarie. E questa è proprio la principale argomentazione delle opposizioni di destra, che sostengono si debba arrivare alla riduzione dell’orario di lavoro senza interventi a gamba tesa ma attraverso la contrattazione e l’accordo delle parti. Junts, che rappresenta appunto i ceti produttivi catalani, è sempre stato scettico sulla riforma che vede l’opposizione delle principali organizzazioni datoriali catalane, in particolare quella che rappresenta le piccole e medie imprese. Gli scandali giudiziari hanno indebolito ulteriormente il governo ed è anche probabile che gli indipendentisti catalani abbiano deciso di alzare la posta per spuntare concessioni su qualcuno dei tanti altri tavoli di trattativa con il governo. Il ministro Díaz vede ancora dei margini per negoziare, prima che salti tutto.
Al di là del clima politico sempre più sfavorevole al governo, alla base della contrarietà ci sono dei seri problemi di ordine economico. La tesi del governo è che la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario aumenti la produttività, senza effetti negativi sui costi unitari di produzione e sull’occupazione, portando benefici a 12,5 milioni di lavoratori. Ma diversi studi sostengono il contrario. Una ricerca della banca Bbva stima che la norma potrebbe interessare il 53% dei lavoratori (quelli che superano le 37,5 ore settimanali) e che le ore lavorate in eccesso sarebbero il 5,5% del totale: senza misure compensative, l’abolizione di queste ore di lavoro considerate “eccessive”, comporterebbe secondo la banca spagnola un aumento del costo del lavoro pari all’1,5% del pil, che avrebbe un impatto negativo dello 0,7% sulla crescita del pil e dello 0,8% sull’occupazione.
I più colpiti sarebbero i settori a più alta intensità di lavoro, a meno valore aggiunto, come agricoltura, commercio, turismo e costruzioni dove oltre il 90% dei lavoratori supera la nuova soglia massima settimanale. Si tratta anche dei settori in cui, negli ultimi anni, la Spagna ha creato maggiore occupazione. L’impatto è ovviamente maggiore sulle piccole e medie imprese: secondo uno studio della Cepyme, la confederazione delle pmi, la norma comporterebbe un costo di circa 42 miliardi di euro, tra aumento del costo del lavoro e pil che andrebbe perso.
Il successo o l’affondamento della legge spagnola ha una ricaduta politica anche in Italia, visto che da un po’ di tempo Yolanda Díaz è diventata un simbolo per il progressismo italiana. La vicepremier spagnola è contesa da Pd, M5s, Avs e Cgil negli inviti e nelle apparizioni. Ha anche partecipato attivamente alla politica italiana, non con molto successo, prima con un endorsement a favore di Andrea Orlando per le regionali in Liguria e poi con interventi a favore del recente referendum sul lavoro promosso dal “querido Landini”. Elly Schlein, Giuseppe Conte e Nicola Fratoianni si sfidano a colpi di post e reel sui social per apparire insieme a Yolanda Díaz.
Pd, M5s e Avs hanno presentato una proposta unitaria, ispirata proprio al modello spagnolo, per la riduzione dell’orario di lavoro da 40 ad addirittura 32 ore settimanali, ma a fronte di corposi sussidi a favore delle imprese. La piattaforma dell’alternativa progressista al governo Meloni dipenderà anche da cosa succederà in Spagna nei prossimi mesi alla legge Díaz.