Nel mondo che cambia, un invito agli allievi della Scuola Sant’Anna: mettere intelligenza, conoscenza e coraggio al servizio delle istituzioni pubbliche, per rafforzare la democrazia, l’efficienza dello stato e il futuro dell’Europa. L’intervento di Roberto Garofoli, già sottosegretario alla presidenza del consiglio
Pubblichiamo l’intervento di Roberto Garofoli, già sottosegretario alla presidenza del consiglio, alla giornata di insediamento del rettore della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa
Cari allievi della Scuola Sant’Anna, vi preparate a servire il Paese in mille modi, nella ricerca, nell’insegnamento, nelle aziende del nostro Paese. Spero non scartiate di farlo anche come civil servants. La vostra intelligenza, il bagaglio di conoscenza, le capacità di analisi maturate sarebbero assai utili nel concorrere a rendere il sistema istituzionale italiano più adeguato ai nuovi compiti e alle continue sfide che ci attendono in un mondo che cambia con crescente rapidità, purtroppo in peggio per taluni non trascurabili aspetti.
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Misure solo nazionali, certo, non sono sufficienti. È necessaria talvolta una dimensione europea, con politiche comuni per innovazione, industria, difesa.
Significativi sono, infatti, i divari che l’intera Europa ha accumulato in decenni durante i quali ha peraltro potuto fruire del cosiddetto dividendo della pace, dovuto all’apertura dei mercati internazionali, alla possibilità di esportare senza restrizioni, di importare senza ostacoli materie prime, di ottenere energia a basso costo, di delegare ad altri la sua difesa. Condizioni non più scontate nel nuovo scenario internazionale.
Nel settore della difesa, in particolare, il progetto di una difesa europea unitaria, discusso sin dagli anni Cinquanta, non può più attendere. Le resistenze ideologiche, i timori dei singoli Paesi, le rendite delle industrie nazionali: tutto questo ha già prodotto ritardi inaccettabili. Il grande problema resta la frammentazione della spesa europea: la somma delle spese militari dei singoli Stati membri dell’Unione supera quella di altri blocchi, eppure il risultato è una debolezza strategica. Nessuna capacità autonoma di intervento. Nessun coordinamento efficace. Nessuna voce riconoscibile nello scacchiere globale.
Non è solo un problema militare. È, prima ancora, un problema politico. L’assenza di una difesa comune è il segno dell’incompiutezza europea, della sua vulnerabilità strutturale. Non basta avere una moneta e un mercato. Se non si è in grado di difendere i propri valori, le proprie frontiere e i propri cittadini, l’Unione resta una costruzione fragile.
Le sfide che le radicali trasformazioni in corso pongono per l’Europa intera non mettono in secondo piano, tuttavia, quelle da fronteggiare nel nostro Paese.
Nel panorama europeo, infatti, l’Italia ha indubbi punti di forza (è stata per esempio il quarto Paese al mondo per volumi di esportazioni nel 2024), ma ha mostrato negli ultimi decenni fragilità specifiche.
Occorrono anche a livello nazionale nuove politiche, da mettere a punto con un orizzonte temporale non breve, il solo che consente di programmare e poi attuare gli interventi utili a curare e superare le fragilità tipicamente italiane.
Il tempo delle politiche necessarie per il Paese non sempre coincide con i tempi della politica, così come, di frequente, con quelli dei governi, catturati da emergenze, crisi, affanni da fronteggiare. Anche in questa prospettiva, disporre di un sistema istituzionale funzionante e di strutture amministrative più solide aiuterebbe a dare continuità alle politiche strutturali di cui l’Italia ha bisogno.
Sono diversi i ritardi.
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Oltre quelli cui ho già fatto riferimento – relativi al settore energetico, ai livelli di dispersione idrica, alla capacità di attrarre investimenti, ai tassi di efficienza amministrativa, ai livelli di digitalizzazione, ai tempi giudiziari – non ne mancano sul fronte delle politiche educative. I livelli di apprendimento – nella media europea fino alla scuola primaria – crollano nella scuola secondaria; i tanti divari (sociali, di genere, territoriali) non si attenuano, come emerge dai risultati dei test sull’apprendimento e dai tassi di dispersione scolastica, sensibilmente più alti al Sud.
Quanto all’università, l’obiettivo europeo del 45% di laureati tra i 25 e i 34 anni è assai lontano. Se ne laureano poco oltre il 30%. Soprattutto, dei circa 500.000 diplomati si laurea poco più della metà: un dato preoccupante per almeno due ragioni. Da un lato, per i diplomati che non si laureano manca un solido sistema di istruzione terziaria. Dall’altro, quel numero di partenza (500.000 diplomati) è destinato a crollare nei prossimi anni: se nel 2008 nascevano, infatti, circa 576.000, nel 2023 ne sono nati appena 379.890.
Navighiamo in scenari che sfidano le certezze acquisite. Governare queste fragilità non è semplice.
È necessaria, in primo luogo, una capacità di analizzare in profondità i problemi.
In un celebre passaggio, Albert Einstein disse: “Se avessi solamente un’ora per salvare il mondo, passerei 55 minuti a definire bene il problema e 5 minuti a trovare la soluzione”.
Una lezione di grande attualità in un sistema di comunicazione ossessionato dal “risultato immediato”, in un mondo nel quale è talvolta messo in discussione il rilievo da riconoscere alla conoscenza, al sapere, al merito tecnico delle questioni da affrontare.
Certo, terminata l’analisi, arriva il momento della decisione.
L’assunzione di un rischio, sia pure “calcolato” – come si disse durante la pandemia a proposito della decisione “rischiosa” di riaprire le scuole e i luoghi di formazione – è tendenzialmente da preferire all’inazione. In questo, alla conoscenza, alla capacità di ricerca e analisi dei problemi, deve affiancarsi un’attitudine alla decisione.
Una capacità di decisione e una dose di coraggio di cui si avverte un gran bisogno oggi nel pensare al futuro dell’Italia e dell’Europa.
Avviandomi alla conclusione, vi sono molte ragioni che spiegano perché è importante che il sistema istituzionale e gli apparati pubblici recuperino efficienza e perché, quindi, le vostre capacità e competenze possono essere assai utili.
Non è in gioco solo la competitività del Paese, ma la stessa tenuta democratica del Paese.
La sfiducia nelle istituzioni (purtroppo alta in Italia, come attestato dall’Istat in un rapporto di alcuni anni fa) è tra i fattori che, per alcuni studi, giustificano il preoccupante calo di partecipazione democratica. Quella sfiducia è almeno in parte dovuta alla percezione di alcune inefficienze del sistema istituzionale e amministrativo.
Vi è inoltre una relazione – non causale, ma statistica – tra debolezze del sistema istituzionale e perdita di produttività e competitività del Paese, così come tra andamento dell’economia e astensionismo, più alto tra chi non è in condizione di benessere, in particolare quando non confida più nella capacità della politica e delle istituzioni di fornire soluzioni efficaci alle difficoltà.
Certo, le cause della fuga dal voto sono numerose. Efficienza del sistema istituzionale, salute dell’economia e tenuta dei sistemi democratici non sono tuttavia temi tra loro distinti.
Chiudendo, se decideste di lavorare nelle Istituzioni pubbliche, non mancherà il rischio che incorriate in errori, delusioni, affanni: governare è più complesso di quel che può apparire. Sarà necessario coltivare il confronto, la contaminazione e l’interdisciplinarietà.
L’eccellenza del vostro percorso di formazione, in uno ad una giusta dose di esperienza, curiosità e coraggio, vi consentirà – ne sono certo – di assicurare quella qualità di analisi, valutazioni e decisioni di cui il Paese ha più che mai bisogno.