Dopo un’iniziale presa di distanza, ora il presidente americano potrebbe decidere di entrare in guerra con Teheran. Il rischio è un conflitto su larga scala, ma la possibilità di distruggere il programma nucleare iraniano sarebbe maggiore. La prudenza dei leader del G7 e dell’Europa
Ieri il presidente Donald Trump si è trovato davanti a una delle decisioni più importanti della sua presidenza: entrare in guerra con l’Iran oppure no. Questo trascinerebbe Washington in un nuovo conflitto in medio oriente, ma darebbe anche l’opportunità di eliminare il programma nucleare di un rivale. In una serie di post sui social media pubblicati nel corso della giornata, il presidente americano ha affermato che gli Stati Uniti hanno “il controllo completo e totale dei cieli sopra l’Iran”. Ha poi avvertito la guida suprema iraniana Ali Khameini di essere un “bersaglio facile” e ha chiesto la “resa incondizionata” senza specificare cosa ciò avrebbe comportato. A fine giornata, dopo un incontro di 80 minuti con i principali collaboratori nella Situation Room, ha parlato con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.
Le dure parole di Trump sono arrivate in un momento di estrema debolezza per Teheran, il cui potere è ai minimi storici dopo un anno di attacchi israeliani contro i suoi alleati e delegati in medio oriente. Trump ha da tempo adottato un approccio aggressivo nei confronti dell’Iran, sebbene abbia anche condotto una campagna per porre fine ai conflitti globali e – fino alla scorsa settimana – abbia continuato a cercare un nuovo accordo per limitare il suo programma nucleare.
La posizione attuale di Trump potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Se riuscisse a ottenere concessioni dai leader iraniani per smantellare il loro programma nucleare, o a distruggerlo militarmente senza provocare gravi ritorsioni, verrebbe celebrato come un presidente capace di ottenere risultati con un approccio imprevedibile alla politica estera. Ma una gestione errata della crisi potrebbe trascinare Washington in un conflitto su larga scala, con rischi gravi e imprevedibili per i cittadini americani. E se gli attacchi fallissero, esiste il pericolo che l’Iran scelga di sviluppare l’arma nucleare che finora ha sempre dichiarato di non voler costruire.
“Ora abbiamo il controllo completo e totale dei cieli sopra l’Iran. L’Iran aveva ottimi sistemi di tracciamento del cielo e altre attrezzature difensive, e in abbondanza, ma non sono paragonabili a ‘roba’ prodotta, concepita e prodotta in America”, ha dichiarato Trump martedì, prima di incontrare i suoi consiglieri nella Situation Room. “Nessuno lo fa meglio dei buoni vecchi Stati Uniti”.
I leader che hanno incontrato Trump al vertice del G7 — tenutosi lunedì in Canada e composto da democrazie alleate — hanno riferito che il presidente americano aveva preso in considerazione l’ipotesi di partecipare agli attacchi israeliani contro l’Iran. Una svolta inattesa, dopo mesi in cui aveva continuato a puntare su una soluzione diplomatica per fermare il programma nucleare iraniano, nonostante le pressioni di Netanyahu. Il Segretario di Stato Marco Rubio, che ha accompagnato Trump in Canada, ha contattato lunedì i suoi omologhi per discutere della situazione, assicurando però ad alcuni di loro che Washington non intendeva unirsi agli attacchi israeliani, secondo quanto riferito da tre funzionari anonimi.
La posizione degli Stati Uniti è cambiata nelle ultime ore: Trump sta ora valutando la possibilità di partecipare all’attacco. Il senatore Lindsey Graham (R-South Carolina), da sempre uno dei falchi repubblicani più aggressivi nei confronti dell’Iran, ha raccontato di aver parlato con il presidente lunedì sera, sostenendo che Trump voglia aiutare Israele a “portare a termine il lavoro” e distruggere il programma nucleare iraniano, incluso l’impianto chiave di Fordow, situato a sud di Teheran.
“Mi è sembrato molto tranquillo, determinato”, ha detto Graham. “Non credo che Israele sia in grado di neutralizzare Fordow senza il nostro aiuto, ed è anche nel nostro interesse assicurarci che quel programma venga annientato, tanto quanto lo è per Israele. Se possiamo fare qualcosa per aiutare Israele, dobbiamo farlo”. Trump è rientrato anticipatamente dal Canada a Washington, spiegando di voler monitorare personalmente la situazione in Medio Oriente.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, che ha incontrato Trump al vertice in Canada, ha espresso martedì il proprio sostegno all’offensiva israeliana, definendola “il lavoro sporco… che Israele sta facendo per tutti noi”. “Anche noi siamo nel mirino di questo regime”, ha dichiarato Merz alla rete tedesca Zdf a margine del vertice. “Il regime dei mullah ha seminato morte e distruzione in tutto il mondo”.
Negli ultimi giorni, Israele ha colpito diversi impianti nucleari iraniani, ma l’obiettivo più strategico rimane Fordow, un sito di arricchimento dell’uranio scavato in profondità sotto una montagna. Secondo fonti statunitensi, solo armi estremamente potenti, come la GBU-57 — una bomba “bunker buster” da 15 tonnellate nota come “Massive Ordnance Penetrator” (MOP) — sarebbero in grado di colpirlo efficacemente. L’ordigno, lungo sei metri, viene trasportato dai bombardieri stealth B-2 Spirit, basati a Whiteman (Missouri), capaci di raggiungere bersagli globali grazie al rifornimento in volo. Il Pentagono, però, potrebbe anche ricorrere ad altri velivoli, tra cui i caccia già schierati nella regione e alcuni B-52 recentemente trasferiti a Diego Garcia, base congiunta USA-Regno Unito nell’Oceano Indiano.
Il fatto che Trump abbia rivendicato il controllo dei cieli iraniani lascia intendere che le difese aeree iraniane siano state pesantemente danneggiate dagli attacchi israeliani nei giorni scorsi. Sebbene Washington abbia rafforzato la propria presenza militare nella regione sin dall’inizio dell’offensiva israeliana, gli Stati Uniti hanno finora insistito sul fatto che il loro ruolo resti esclusivamente difensivo. Trump, tuttavia, ha contraddetto questa linea, invitando gli iraniani a evacuare Teheran, una metropoli di circa 10 milioni di abitanti. Fino a martedì pomeriggio, secondo funzionari della difesa, le forze statunitensi non avevano ancora compiuto attacchi diretti contro l’Iran, ma avevano fornito supporto a Israele con cacciatorpediniere schierati al largo e jet militari incaricati di intercettare i missili iraniani lanciati contro lo Stato ebraico.
Il generale Michael “Erik” Kurilla, comandante delle forze statunitensi in medio oriente, che da tempo promuove un approccio aggressivo verso Teheran, ha riferito la scorsa settimana alla Commissione per i servizi armati della Camera di aver presentato a Trump e al segretario alla Difesa Pete Hegseth “un ampio ventaglio di opzioni” militari. Secondo Kurilla, gli Stati Uniti si trovano ora “in una finestra strategica di opportunità” per tutelare i propri interessi nella regione, prevenendo, fra l’altro, la capacità iraniana di acquisire armi nucleari. Secondo la maggior parte degli esperti, Teheran potrebbe arricchire abbastanza uranio per una bomba nel giro di una settimana, ma impiegherebbe mesi — forse fino a un anno — per trasformare tale materiale in un ordigno utilizzabile.
Se da un lato il cancelliere Merz ha apertamente appoggiato l’offensiva israeliana, altri leader riuniti in Canada hanno adottato toni più cauti o critici. Il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito martedì ai giornalisti la necessità di un cessate il fuoco e di negoziati. “I popoli cambiano da soli i propri leader. Tutti coloro che hanno cercato di rovesciare regimi con attacchi militari hanno commesso gravi errori strategici”, ha osservato.
La leader europea Kaja Kallas ha riferito che i ministri degli Esteri dell’Unione Europea, riuniti martedì in un incontro d’emergenza virtuale, sono compatti nel chiedere una de-escalation. “Il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti rischia di allargare il conflitto in tutta la regione, e questo non è nell’interesse di nessuno”, ha dichiarato Kallas. Rubio, in un colloquio telefonico di lunedì sera, ha ribadito lo stesso concetto ai suoi omologhi europei. Anche il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty ha sollecitato negoziati e moderazione, così come il portavoce del ministero degli Esteri del Qatar, Majed al-Ansari, che ha sottolineato gli sforzi regionali per “evitare le conseguenze disastrose di questa escalation pericolosa scatenata dall’aggressione israeliana contro la Repubblica Islamica dell’Iran”.
Israele ha continuato i raid martedì, impiegando circa 60 jet per colpire 12 siti di lancio e stoccaggio di missili, soprattutto nell’Iran occidentale, secondo quanto riferito dal portavoce militare israeliano Effie Derfin. Nella stessa giornata, l’esercito israeliano ha annunciato di aver ucciso Ali Shadmani, descritto come capo di stato maggiore delle forze iraniane in tempo di guerra. Tuttavia, non sono state fornite prove, né l’Iran ha confermato la sua morte. Solo pochi giorni prima, Shadmani era stato nominato a quel ruolo dopo la morte del suo predecessore, Gholam Ali Rashid, colpito dagli attacchi israeliani di venerdì.
Intanto, media iraniani hanno riferito di esplosioni e intensi fuochi di contraerea a Teheran e nella città nordoccidentale di Tabriz. Molti civili hanno iniziato a fuggire dalla capitale nella notte tra lunedì e martedì. Secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), anche il sito sotterraneo di arricchimento di Natanz avrebbe subito “danni diretti” a seguito dei bombardamenti israeliani, come rilevato da immagini satellitari ad alta risoluzione: è la prima valutazione ufficiale secondo cui le centrifughe sotterranee potrebbero essere state colpite.
Gli attacchi aerei di rappresaglia iraniani contro Israele sono proseguiti per il quinto giorno consecutivo, attivando le difese israeliane praticamente ogni ora. Secondo il governo di Tel Aviv, i raid iraniani hanno provocato finora 24 morti e oltre 600 feriti in Israele. Le autorità iraniane hanno invece riferito di 224 vittime complessive dall’inizio degli attacchi israeliani, senza distinguere tra civili e militari.
Michael Birnbaum, Dan Lamothe, Claire Parker, Karen DeYoung
copyright Washington Post